roma bella

UNA SEMPLICE PASSEGGIATA ROMANA @marinella andrizzisinibaldi

QUESTO E’ IL RACCONTO IRRIVERENTE CHE MARINELLA MI LASCIO’ PUBBLICARE NEL 2011 SU UN ALTRO SITO E CHE RIPROPONGO ORA (rappresenta le opinioni dell autore)

Diversi anni fa, sul finire del ginnasio, scrissi il racconto di una semplice passeggiata con il mio cane, nei dintorni di casa mia. Un piccolo giro turistico nella Roma Imperiale assieme al mio cane che marcava con le sue rapide “soste”, tutto il percorso. Quello stesso cane che mi suggerì il finale. Un finale, come l…o definì la mia insegnante di lettere, “irriguardoso”, quasi tirandomelo in faccia, poiché mi rifiutai di cambiare quel finale che, invece a me sembrava proprio adatto. Un finale che, viste le attuali vicissitudini politiche di questi giorni, trovo che torni ad essere particolarmente adatto al momento storico che stiamo vivendo. Oltre a ritenere il mio cane, con il suo comportamento, l’unico ad aver ben compreso come comportarsi davanti a tanta gloria di persone illustri che hanno fatto la storia.

“Lungotevere, alla fine del mese di ottobre, con i platani che sembrano voler salutare il finire dell’estate, assume un’aria tutta particolare, ma non malinconica, romantica, o quante altre belle frasi, più o meno retoriche, quelle, per intenderci, da turista in calzoncini e macchina fotografica atta ad accumulare un numero immenso di foto … completamente inutili.

Insomma, un’aria … un’aria … non trovo le parole giuste, e non credo che esistano, poiché è qualcosa tutta romana, che si deve respirare con il cuore, con l’anima.

Un’atmosfera che non può essere compresa, se non vivendoci e sforzandosi di capire.

Anche la luce del sole è diversa. I toni sembrano voler perdere la loro brillantezza e tracotanza estiva, pur restando forti e prepotenti; ammantati di incanto fin nel più profondo della loro essenza vitale e spirituale.

Un fiume, Illuminato e reso scintillante dal sole, che non riesce mai ad andare dritto, ma si contorce nella città, come nella speranza di vivere e crearsi un suo percorso, uno sbocco libero da costrizioni umane, anche se monumentali e che sembrano, con invidia, voler strappare quella sua bellezza pura e naturale.

Un corso d’acqua talmente carico di storia, suo malgrado, che ben si addice alla superba pomposità che lo cinge.

Un fiume saggio, capace di alleggerire la pesante austerità che fiancheggia entrambe le alte sponde. Scherzoso e ironico con i ricordi più illustri del suo passato. Ricordi persi nel tempo e nella memoria d’ognuno. Immagini cancellate dall’indifferenza degli anni, secoli e millenni.

Ma lui è lì, quale muta presenza ammonitrice, sornione e quasi sorridente; con l’atteggiamento tipico di chi sa d’essere il più forte. Venerato come un dio.

Cosa resta di Cesare, Ottaviano, Claudio, Nerva, Traiano, Adriano e di tanti altri, prima e dopo? Qualche pietra, dei muri, un po’ di colonne e troppi capitelli, nella vana speranza d’eternità.

I più fortunati conservano una curia, un palazzo, una villa, una basilica o … una tomba.

Mute coscienze d’immemori ricchezze; paradigmatico segno dell’illusoria volontà umana. Ma delle loro idee, delle loro paure, manie, speranze e quanto d’altro possa veramente comporre l’astruso e arrogante mosaico umano, cosa rimane?

Possono bastare delle mura dirute e saccheggiate? Qualche statua ed una manciata di scritti, su nobile pietra o vile pergamena, per rendere la complessità di una mente, resa ancor più complicata dalla grande macchina della fantasia?

Piccoli soli che hanno solcato il cielo dei secoli, con la loro rapida alba e inevitabile tramonto.

Tutti ingoiati dalla grande coltre della notte infinita.

Ma … il Tevere no! Il Tevere prosegue, nel suo eterno e sincretico altalenare, a scorrere placido, senza fretta. Scuotendo bonariamente, ad ogni ansa, le alte chiome dei suoi adornanti platani, come ad esternare indifferenza; quasi commiserando quei nomi, che pure hanno saputo incutere tanto inutile timore e rispetto.

Continuo a passeggiare, ammirando, quasi con paura e venerazione, questo mio caro fiume così importante. Talmente importante, da non saperlo nemmeno!

Affacciata alla larga spalletta di pietra scolpita da mani sconosciute, contemplo lo scorrere della continua e lenta corrente della vita. Mi sento sempre più piccola! Inutile, come quei tanti grandi nomi che ormai non esistono più.

Lascio il sacro fiume e m’avvio verso casa, scendendo dal Foro Olitorio, rasentando il fiero Teatro Marcello, padre del più noto Anfiteatro Flavio o, semplicemente “Colosseo”, fin sotto il cupo ed imponente rilievo del Campidoglio. Tra arcate e colonne, procedo zigzagando tra il tempio di “Marte” e quello di “Vesta”, così come li vuole la fantasia popolare.

A sinistra saluto il Velabro, che richiama forzatamente il ricordo del “fico ruminale” e Romolo e Remo, che la leggenda, rubata ai sumeri, vuole ancora lì, eterni neonati, a succhiar latte da una lupa o … da una prostituta.

Ma, voltando l’angolo di S. Maria in Cosmedin o “bocca della verità”, percorrendo breve salita, d’improvviso s’apre l’imponente spettacolo del Circo Massimo, Stretto tra la via De’ Cerchi e l’Aventino, sovrastato e dominato dall’alternante gioco di luci ed ombre delle gigantesche teorie di vuoti e pieni delle arcate sovrapposte del palazzo augusteo, in un perpetuo rincorrersi di ritmi geometrici, ai limiti silenziosi del musicale.

Percorro tutta la sua lunghezza, da una meta all’altra. Sembra di udire ancora le alte grida d’incitamento. Le imprecazioni degli scommettitori e della folla, ornati dalle tinte forti dei colori delle tifoserie. Rosso; verde; giallo. Sempre la stessa malattia! Fomentata dall’alto, con medesimi intenti.

Giungo alla piccola e raffinata torre medioevale dei Frangipane, quasi finale “meta”, innanzi alla quale, purtroppo, non vedo più la grigia stele funebre di Axum, rigida porta etiope dell’al di là e che presiedeva l’inizio della larga e alberata Passeggiata Archeologica, giusta cornice per l’immensa, e severa costruzione delle antoniniane Terme di Caracalla, anima populista della “VII Regio”.

Piego a sinistra, lungo il colle Palatino, punteggiato di pini. Intravedo la via sacra e saluto un vecchio amico: l’arco di Costantino. Superbo “notes” per appuntare tanti trionfi e avventure di un tempo passato.

Il rosso morbido del tramonto contrasta con la scura maestosità della Basilica di Massenzio, contro cui si stagliano le agili e grigie colonne del tempio di Venere e Roma, che tanto costò al siriano Apollodoro, vero re incontrastato dell’architettura romana e sublime ideatore di quella rara poesia materiale tanto imitata e che si chiama: Pantheon!

Lesta, prima d’essere lambita dalle ombre della sera, imbocco la via claudia, costeggiata dalle vetuste ed omonime mura, dominata dalla sovrumana possanza del “Colosseo”, ingentilita solo dal verde dei giardini del colle Oppio, con gli erti clivi a larghi e bassi gradoni, dove sonnecchia quel che resta di una esagerata “domus aurea”.

Volutamente, evito la raffinata bellezza medioevale di S. Pietro e Paolo, poiché passare di lì, al tramonto, si è costretti a fermarsi fino all’ultimo raggio di sole. Ed eccomi in vetta al colle Celio. Costeggio l’affascinante S.Stefano Rotondo, geloso custode di un santuario dell’antagonista e rivale di nuove credenze, dio Mitra e, subito, dopo una breve discesa ristoratrice, arrivo a casa .

Sono davvero fortunata ad abitare dentro la storia! Però, al mio cane poco importa, lui è come il Tevere. Continua a trotterellare, con moto ondivago, guidato dai mille effluvi percepiti dal suo naso sensibile, lasciando dietro di sé, impietosamente, storia, ricordi ed immagini perse nel tempo. Sognando solo la libertà dei grandi spazi verdi di Villa Celimontana, animati, qua e là, dalle provvide e fresche ombre silenti d’improvvisi e secolari alberi esotici; perfetti per le sue pipì!

Lui, senza rimorsi, con il suo istintivo “Panta rei”, sulla memoria di tante glorie e di tanti nomi che fecero tremare il mondo, ci piscia sopra!

E forse, non ha torto”.

@Marinella Andrizzi Sinibaldi

(rappresenta le opinioni dell autore)

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