mondo slavo

IL MONDO DELLA STEPPA @aldoc.marturano

La steppa è un palcoscenico immenso e affascinante. Visitandola la prima volta, l’avevo contemplata giusto nel suo primo aspetto in Mongolia e mi aveva spaventato quasi: una distesa pianeggiante di terreno fessurato dai frequenti terremoti e un suolo duro dalla secchezza di color bruno perché battuto da un sole senza tregua!

Qui di giorno c’è il sole cocente, mentre ci vuole qualche ora per passare dal caldo che il suolo continua ad emanare dopo il tramonto, al freddo della sera. Di notte tutto si raffredda e solo al calduccio nella jurta degli amici nomadi, si sta veramente bene…

Oggi si va in camionetta nella steppa mongola e in questo deserto di Gobi se si vuol andare veloci, ma secoli fa? A quei tempi occorre forse immaginarsi file di cammelli carichi di roba in lenta marcia lungo le famosissime Vie della Seta? Oppure mandrie di cavalli dalla lunga criniera in corsa, seguiti da presso da uomini, donne e bambini su carri con due o quattro ruote, pionieri dalle guance cotte dal sole che cantano mentre vanno in carovana verso occidente?

Di là dal Gobi dalla steppa mongola dove mi trovavo, scorgevo a sudovest le montagne dell’Altai e quando scoppiavano brevi temporali improvvisi in lontananza in estate, a me che ne vidi uno, sembrò che s’illuminasse lo schermo di un enorme teatro e si riempisse di cavalieri al galoppo nel fragore di tuoni e lampi.

A nord invece c’era la taigà, una foresta alquanto rada di alberi più silente che con la Transiberiana avevo attraversato, passati i Monti Urali, prima di arrivare ad Ulan Baator.

Non è però questo il mondo di nomadi, sebbene di qui essi partissero puntando sulla lontanissima Europa ad ovest o a sud verso la splendente Cina, oltre gli Altai, cuore etnico dei turcofoni già verso il V sec. CE.

Stando con i loro discendenti per un po’ in Kirghistan, mi son reso conto che questa gente vede il nomadismo non come un fatale e ingrato modo di vita, non conoscendone altri, ma come un’antica scelta di attività per esistere. In breve se potessero, preferirebbero un’economia più sicura e una giornata meno solitaria che non quella comune d’ogni pastore-allevatore. Così amano la compagnia e di sera raccolti intorno al fuoco alimentato con lo sterco secco si ascolta e si racconta per ore di tutto e di tutti.

Si riscopre nella steppa la civiltà del parlare perché la parola ha un peso enorme non immaginabile nella nostra cultura neppure con internet! Chi sa raccontare meglio, accompagnando le parole con i gesti, è il più ascoltato, senza badare troppo al contenuto di ciò che dice, e le risate frequenti fra gli astanti sono il sintomo dell’allegria che si sfoga quando non c’è più da badare alle mandrie degli animali e finalmente si parla. Senza differenza d’età, grandi e piccini, sono invitati a dire la loro… col diritto beninteso di essere ascoltati!

Non credo d’altronde che esista forse al mondo una lingua con giri di parole più espressivi del mongolo o del turco, anzi! Mi viene da rammentare R. Grousset (v. bibl.) che giustamente pensava che qui fosse nata la verbosa democrazia parlamentare…

Naturalmente il paesaggio, l’ecosistema di cui ogni persona umana è parte influisce profondamente negli atteggiamenti e nelle decisioni e, a parte il clima, c’è una particolarità geomorfologica unica al mondo nelle steppe: le cosiddette Terre Nere (in russo černozjòm). In termini più semplici è una striscia di terra argillosa (terre a löss) che trattiene l’umidità e permette la crescita spontanea di erba-foraggio per l’intero anno di cui le bestie volentieri si nutrono e ciò favorisce il sistema di pastorizia nomade, unico cespite economico di questi allevatori in perpetua transumanza.

Come si vede dalla cartina, si estendono più o meno dal Pacifico all’altro estremo dell’Eurasia in Ungheria. Qui l’ultimo lembo di steppa diventa puszta, una vecchia parola slava passata nell’ungherese che significa vuota di gente. Il paesaggio oggi è diverso tuttavia. Le coltivazioni hanno preso il sopravvento sui pascoli, ma il cavallo, grazie agli Alani migrati secoli fa nell’Hortóbágy, ancora in branchi mostra ai turisti con i suoi caroselli e con in groppa i cavalieri Jaszi la sua possanza.

Detto ciò, da dove trae l’acqua il suolo a löss visto che le piogge sono rare? Al sud delle Terre Nere ci sono catene di montagne attaccate quasi agli Altai in una lunga fila: Tian-Šan, Pamir, Kün-Lün fino al Caucaso, alte quanto basta da poter immagazzinare dalla cima fin sui declivi il gelo invernale ghiacciato per lasciarlo poi sciogliere e a valle disegnare oasi e fiumi.

Insomma da est a ovest la steppa non è un continuo conglomerato geografico uniforme e semi-desertico o addirittura ostile dal punto di vista antropico come appare le prime volte. No! Interrotta da fiumi enormi, da laghi immensi in oasi altrettanto gigantesche avvolge e coinvolge storicamente il nomade. L’oasi è la fine del suo errare e vi s’immerge, consolandosi del duro modo di vita che ogni giorno deve affrontare. È la sua meta dei piaceri che affascinano e degli incontri che legano… Gli ebrei persiani parlavano di questi posti come dell’Eden o della Terra di Canaan dove nei fiumi scorrevano latte e miele.

E proprio nelle oasi della Steppa Eurasiatica sorgono città famosissime ed importanti come Samarcanda, città d’Avicenna e del Tamerlano, che attrasse Alessandro il Macedone e Cinghiz Khan per tacere delle tante altre!

Un’oasi si incontra pure dopo le dune del Kizil Kum (sabbie rosse in turco) arrivati alla riva sinistra del fiume Jaik (oggi Ural) a Occidente. A valle, col corso parallelo al grande fiume Volga, taglia la steppa come un gigantesco colpo d’ascia prima di versare le sue acque nel Mar Caspio. Insieme Jaik e Volga, quest’ultimo una volta chiamato Itil, con le proprie masse d’acqua alimentano per quasi l’89 % il più grande lago del mondo che è il Mar Caspio. Se consideriamo che la superficie del Caspio è di ca 100 mila kmq con una profondità che raggiunge un massimo di 1025 m nelle vicinanze delle sponde iraniane, possiamo immaginarci che, fiumi e lago, con l’enorme volume di umidità da essi generato rappresentino un fattore fondamentale per il regime climatico della regione. Col massiccio del Caucaso sulle rive ovest e il Demavend sulle rive sud, il Mar Caspio ha modificato e presumibilmente continuerà a farlo, il clima di tutto il Mediterraneo fino alle nostre coste pugliesi! Il Caucaso effettivamente gioca la sua parte eco-climatologica poiché ai suoi piedi mantiene in vita, primi di altri, ad est il bacino del fiume Terek (oggi Daghestan) e a ovest il bacino minore del fiume Kuban insieme col basso Don e affluenti a nordest.

Gli eventi di questi luoghi, includendo la Crimea e rispettivamente il Mare d’Azov, impressionarono gli storici delle regioni circostanti sin dal tempo di Erodoto (V sec. ACE).

Secoli dopo la trasformazione culturale dei turcofoni Bulgari e Cazari fu notata in particolare separata dalle religioni e, sebbene da quel tempo ci separino oltre 10 secoli e nell’intera area euroasiatica moltissimo sia cambiato, l’informazione nel Medioevo Russo è arrivata fino a noi, mista a favole leggende.

Una domanda sorge e resta: Se una volta i Bulgari e i Cazari trovarono in tale teatro l’ambiente necessario per crescere come popoli e diventare potenze regionali, cosa è accaduto all’ecosistema Volga-Caspio-Caucaso da plasmare l’intera loro storia?

Per quanto riguarda il Caspio sono fortunato perché la risposta è che negli ultimi anni del XX sec. CE, dopo accurati studi da parte della Stazione d’Osservazione d’Astrakhan in collaborazione con l’Università di Baku, si è riusciti a comprendere abbastanza sul regime delle acque del maggior fornitore del Caspio e cioè del Volga. Si è capito che i cicloni delle Azorre, che tanto condizionano il nostro clima europeo, hanno una grandissima influenza sul regime delle piogge e delle nevi che nutrono gli affluenti del Volga. Il fiume perciò muove volumi d’acqua enormi confluenti nel Mar Caspio. Eppure il livello del grande lago non si solleva di molto e non è registrato uno straripamento sulle rive da richiedere eventualmente deviazioni, scolmature o dighe a monte. Certo, ci sono le sesse causate da differenze di pressione atmosferica che abbassano la superficie in un posto e causano la reazione di innalzamento sulla riva opposta. Ciò avviene con una periodicità finora non ben sistemata nello schema di regime, ma, a parte i casi clamorosi di intere strutture rivierasche inghiottite dalle acque mentre il lago era in fase d’innalzamento del livello, l’equilibrio è mantenuto dall’evaporazione.

Qualche esempio servirà a dare un’idea. La fortezza costruita da Ivan il Terribile nel XVI sec. CE sulla foce del Terek era continuamente sommersa dalle acque da costringere a ricostruirla più volte a monte. Un avvenimento simile è registrato nel 1304 CE dal geografo persiano Najati che racconta come alla foce del fiume Giurgian sulla riva sudorientale il porto d’Abezgun (città importante nella nostra storia nella zona di Gümüs Tepe, in Turkmenistan) fosse inghiottito completamente dalle acque e scomparisse e via via tanti altri.

C’è però un altro non ultimo mistero sul Caspio. A sud-est delle coste caspiche, si nota una specie di golfo chiamato Kara Boghaz Göl ossia nel dialetto turco dell’Azerbaigian: Lago della Gola Nera. Qui esistono delle correnti fortissime che vanno dal centro del Mar Caspio verso il fondo di questo golfo!! Cioè qui le acque sono letteralmente “inghiottite” e spariscono sotto terra per andare a finire chissà dove! E, si dice, che sia questa gola nera a mantenere il livello del Caspio in equilibrio, più che l’evaporazione!

È indispensabile sapere tutto ciò? Io penso di sì perché spiega come, conoscendo il regime dell’oscillazione del livello del Caspio, si condussero campagne militari o – a pagamento – si garantiva maggior sicurezza spostando la data per il passaggio di carovane, eserciti etc.

Un punto va ancora riconfermato.

I nomadi eurasiatici, parafrasando I. Lébédinsky (v. bibl.), non sono resti di genti una volta autoctone rimaste indietro nell’evoluzione delle società antropiche locali, bensì gli epigoni di sedentari che hanno scelto un modo nuovo di vivere sfruttando con nuovi costumi e nuove economie l’ecosistema steppico. L’evoluzione sempre più affinata verso l’allevamento e la pastorizia si è prodotta abbastanza rapidamente fra il 1° e il 2° millennio ACE all’epoca del cosiddetto Bronzo e ha lasciato tracce ben chiare dagli Altai alla Crimea.

Assodato ciò, qualcosa dovette pur smuovere uomini distanti oltre 10 mila km in linea d’aria innanzitutto verso il Caspio e fare qui una sosta di qualche secolo per poi continuare verso Occidente. Anzi! Dopo le prime ondate e i primi arrivi ai confini dell’Impero Romano, una misura di difesa per paura dei nomadi dell’est nel Medioevo (VIII-XI sec. CE) fu l’elaborazione e la messa a punto del concetto cristiano di razza superiore, i romani, e dei semi-umani bruti o bestie selvatiche che ci stavano invadendo, gli orientali (G. Heng, v. bibl.)!

In realtà un multiforme cataclisma lento e spaventoso era in atto su un arco di tempo abbastanza ampio nel numero di secoli che forse non era del tutto sfuggito all’osservazione degli studiosi antichi, salvo che nella sua complessità, ma che è stato trascurato dalla ricerca storica odierna tuttora schiava della causalità: la cosiddetta Anomalia Climatica Medievale.

È uno degli esiti sfortunati di un insieme di fenomeni geomorfologici particolarmente interessanti l’emisfero boreale terrestre: uragani, terremoti, eruzioni vulcaniche, inondazioni e simili che si può comporre entro il 450-700 CE come inizio e il 1530 CE come fine cioè la Piccola Era Glaciale. La temperatura dell’aria variò e oscillò di qualche grado a causa della polvere vulcanica sospesa nell’alta atmosfera e di conseguenza siccità e carestie ne seguirono oltre al risveglio di certi agenti patogeni come Yersinia pestis o il Plasmodium malariae ad esempio.

@Aldo C.Marturano

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