mondo slavo

TRA POLODZ E KIEV,STORIE DI RUS NOBILI E CONVERSIONI POLITICHE @aldoc.marturano

Polodz

Alziamo il velo sulla prossima pubblicazione di Aldo C. Marturano che attualmente si occupa di Russian Middle Ages, è un ricercatore libero professionista, in pensione. Aldo ha insegnato in un’università Lingua russa e Storia del medioevo russo. Le sue ricerche sono state premiate in Russia.Gli piace ancora molto viaggiare per il mondo per vedere con i suoi occhi come vivono le persone. I suoi studi all’estero gli hanno infatti permesso di imparare alcune lingue per poter dialogare direttamente con i suoi ospiti che lo hanno accolto durante i suoi soggiorni.

VLADIMIRO IL SANTO

Una montatura storiografica ideata dai monaci che compilavano le cosiddette Cronache dei Tempi Passati – CTP – per dare un’origine degna al primo sedicente stato cristiano della Pianura Russa e quindi all’inizio della storia slavo-russa o Medioevo Russo, è questo personaggio: Vladimiro detto “pari agli apostoli” e poi consacrato santo della cristianità universale. Le CTP iniziate a Kiev per volontà di Jaroslav l Legislatore, peraltro figlio di Vladimiro e educato probabilmente a Costantinopoli, sono considerate dal 1700 CE le fonti primarie della storia russa. Da decenni poco si è tenuto conto delle chiacchiere che gli amanuensi scrittori raccolgono in giro fra il contadiname intorno ai conventi dove le CTP vengono stilate e che diventano testimonianze di eventi incerti e improbabili nella realtà. Raccontano dunque di Vladimiro abbastanza a lungo. Lo descrivono al principio in coppia con Dobrynja, attribuendo a quest’ultimo una parentela di tipo cristiano di “zio” (ded in russo) n quanto fratello della madre di Vladimiro a nome Malusc’a. Costei sarebbe poi una delle mogli di Svjatoslav il quale invece è il padre putativo. La copia Vladimiro-Dobrynja è già di per sé sospetta, se si tratta di un anziano e un ragazzo che fanno lega insieme e in cui Dobrynja è accettato come OPEKUN ossia PORTAVOCE /PROTETTORE di Vladmiro. Secondo i criteri d’età che oggi consideriamo normali con tale grado di parentela, dovrebbero intercorrere fra i due 15-20 anni almeno. Di tali coppie nelle società medievali ne esistono a bizzeffe e sono meglio definite come commilitoni legati per la via e per la morte con un patto detto di sangue che si offrono per imprese guerresche di qualsiasi genere e il più anziano è apostrofato appunto “zio” ossia slavo-russo per “compare” fra capetti mafiosi. Assodato ciò qual è l’impresa per la quale chiedono a Svjatoslav di essere impiegati?L’impresa è l’assoggettamento di Novgorod, la grande e ricca città del nord di cui Kiev da città autonominatasi capitale non può fare a meno come stato. Al momento Sjatoslav è in campagna militare contro i nomadi e dovrà lasciare Kiev sguarnita per un po’ e perciò affidata a 2 altri suoi figli e quindi è ben lieto di passare Novgorod alle manovre della coppia fatidica. Inizia così la storia russa con la morte di Svjatoslav nel 971-972 CE e l’eccidio continuo di chiunque impedisca a Vladimiro di fabbricarsi la figura di sovrano assoluto della cosiddetta Rus di Kiev

EUFROSINA LA BADESSA

A Kiev nel XII sec. CE ci sono baruffe continue fra le družiny che appoggiano ora un knjaz ora un altro senza che il Monastero delle Grotte, unica organizzazione rimasta unita, possa intervenire con efficacia, finché il knjaz di Suzdal, Giorgio Lungamano (Juri Dolgorukii), figlio di Vladimiro Monomaco, prevale sui suoi parenti e si proclama Velikii Knjaz di Kiev. Ad ogni buon conto intuisce che ormai Kiev non conta più come una volta e comincia la sua politica di spostamento dei poteri nella regione dove è vissuto finora: Vladimir-sul-Kljazma, Rostov-la-vecchia, Suzdal e la cittadella appena sorta come luogo di vacanza (1147 CE): Mosca.

Questi vuoti di potere da una parte preoccupano la reverendissima Eufrosina, ma dall’altra le permettono di affermarsi sempre di più come unica persona politicamente influente nelle terre di Polozk e forse nel Nordest lituano.

Forse in parte il suo successo personale poggia su altro. Eufrosina mantiene corrispondenze, compone gli Annali della Città di Polozk (specie e stile delle Cronache del Tempo Passato) ed è titolare di una casa editrice che va guadagnando importanza nelle terre di lingua russa o lituana poiché da queste parti il bilinguismo è imperante. L’attività editoriale sua infatti non si è mai interrotta e ora con la nuova struttura conventuale nel Selzò ha allargato il suo mercato e si è distinta per la qualità delle opere che produce, copia e elegantemente rilega. È probabile che abbia appreso più d’una lingua straniera fra cui il latino per intrattenersi coi mercanti forestieri che frequentano Polozk e l’Occidente ed il greco e l’arabo per tradurre i nuovi libri che l’islam sta mediando e che lei edita con entusiasmo. Eufrosina ha compreso che il libro oltre ad essere un mezzo di trasmissione di idee è anche un oggetto molto prezioso, comperato a prezzi altissimi da nobili e principi almeno per averlo in bella mostra. In verità prima che Eufrosina si tuffasse in questa attività, lo scriptorium di Polozk aveva una buona fama e addirittura la Biblioteca di Santa Sofia si gloriava d’essere una delle più fornite delle Terre Russe “…anche se poi nel 1579 CE scomparve senza lasciar traccia!” scrive con amarezza A. Melnikov.

Se teniamo presente che il divertimento nelle lunghe serate d’inverno in un tempo in cui non esisteva la televisione o Facebook era proprio quello di leggere o farsi leggere ad alta voce (per chi poteva permettersi di ospitarlo) da un monaco o un declamatore di qualità.

Il contadiname aveva invece i cantori al mercato o le nonne che raccontavano favole e intonavano racconti epici (byliny) e guardava i libri che erano prodotti per religiosi e dunque magici e pericolosi. Alle feste collettive quando non si andava a letto fino a tarda notte nei villaggi saltava su un cantore campagnolo o un predicatore che richiamava pubblico intorno a sé.

In conclusione il libro non mancava in nessuna casa nobile di rispetto e una serata di lettura faceva accorrere molte persone con il dispetto dei non nobili per non poter essere invitati alla bisboccia, se non da inservienti.

Se si richiede una data opera allo scriptorium, bisogna procurarsela, per copiarla. Si individua il convento che possiede nella sua biblioteca il libro cercato e lo si va a copiare perché il prestito dei libri non è mai visto di buon occhio: il libro prestato si può deteriorare o addirittura scomparire per sempre. Ad evitare ciò nel Medioevo in tutte le biblioteche i libri erano incatenati saldamente al tavolo di lettura!

Ed ecco l’attività editoriale di Eufrosina: copiare libri già esistenti nella propria o in altre biblioteche, tradurne opere provenienti da altri paesi e produrne copie da vendere, incoraggiare autori monaci a scriverne di nuove. Però non si pensi a migliaia di copiature o di libri venduti o prodotti, al massimo il numero s’aggira su qualche decina o poco più in un anno poiché dietro di essi c’è un lavoro complicatissimo e faticoso oltre che difficile e lungo per il tempo che sottrae e per il materiale da procurarsi.

Il luogo dove si lavora è lo scriptorium e quello di Eufrosina non è ricco ma si distingue per l’abilità e l’accuratezza delle monache amanuensi che assicurano una qualità veramente unica. Ci sono delle regole da rispettare per questo lavoro quasi dei riti veri e propri di comportamento. Il silenzio domina. La copiatura avviene tenendo il libro da copiare nella mano sinistra e scrivendo con la pergamena spiegata sulle ginocchia con la mano destra. Eufrosina e le collaboratrici purtroppo dei leggii non se li possono ancora permettere e quindi dovranno sacrificarsi procurandosi scoliosi e storpiature. Quando d’inverno la luce diminuisce si ricorre alle candele, ma di certo nello scriptorium ci deve essere una bella stufa che un po’ di luce dalla bocca la dà altrimenti si gela e il lavoro non viene bene. Le finestre non hanno vetri e gli inchiostri possono facilmente gelare. Se poi le copie di uno stesso testo sono tante allora si ricorre alla dettatura.

Gli inchiostri, le tinte, i pigmenti sono preparati da specialisti per tutti i copisti anche se talvolta c’è chi è tanto bravo da prepararsi gli inchiostri da solo. Gli specialisti di città periodicamente vanno a fare raccolta delle galle di quercia (e di questi alberi ce ne sono ancora tantissimi nel XII sec. CE nelle terre di Polozk), di resina e di colofonia. Col sebo raccolto dai contadini, bruciandolo, si realizza il nerofumo. Nel fitto si trovano le bacche o piante per ottenere i vari colori, altrimenti si va al mercato a comprare i pigmenti che venditori sapienti offrono, importati da paesi lontanissimi. Si prepara la colla di pesce, d’amido o di ossa, di bianco d’uovo etc. che faranno da addensanti, collanti etc. Il lavoro chimico è molto delicato e bisogna aver sapienza e pazienza altrimenti si corre il rischio di vedere cambiar colore all’inchiostro o addirittura scomparire con tutto lo scritto! Le tinte più comuni sono il nero e il bianco (quest’ultimo fatto col carbonato di piombo), il rosso da cui la rubrica quando si copiano in rosso le prime lettere di parole diverse, il minio (da cui miniatura), il verde col verderame etc.

Un grande ruolo ricopre l’abilità di vergare le lettere iniziali arricchite di quadretti e il testo con illustrazioni. Allora per queste attività il lavoro non spettava più al copista, ma al pittore. Il copista avrà lasciato lo spazio apposito e l’artista penserà poi a riempirlo con figure, disegni o altro, di grande effetto e colore. Questa è la maggiore occupazione dei pittori del tempo più che l’affresco o l’iconografia su tela come potremmo pensare noi oggi. Talvolta gli artisti pittori sono monaci dello stesso convento e non bisogna ricorrere ad artigiani specializzati da invitati nel convento per farlo sul posto: Il libro è troppo prezioso perché sia portato fuori dallo scriptorium prima che sia venduto!

Un gran problema è costituito dalla scelta del supporto della scrittura. La pergamena si può certo comprarla all’estero importandola, ma qui a Polozk si fa meglio in casa perché i russi e i bulgari sono bravissimi conciapelli. La pergamena è realizzata con pelle di pecora o di capra, di vitello e talvolta anche di porco. Per ottenere le pelli occorre commissionarle ai contadini allevatori molto per tempo poiché questi dovranno uccidere di solito animali giovanissimi per ottenere una pergamena morbida e adatta a ricevere gli inchiostri. Dunque è molto costosa ed è certamente importata dal Mar Nero. La concia è un’arte che richiede ripetute operazioni con tecniche raffinate e tediose. Le pelli alla fine, preparate e conciate, vanno tagliate e lisciate o con la rarissima pomice che può essere comprata solo in Sicilia dai mercanti normanni o con una pasta di pane contenente polvere abrasiva che costa molto meno della pomice.

Una volta che le pagine scritte e rifilate sono pronte per essere legate insieme, si porteranno al rilegatore che le cucirà con attenzione e le coprirà con una copertina di cuoio incrostata di pietre semipreziose o preziose, e magari le orlerà negli angoli, se richiesto, con borchie di metallo d’oro o argento.

La rilegatura (propriamente la legatura) dal punto di vista del valore aggiunto che questa offre al libro, all’inizio si presentava con due tavolette di legno: una sopra la prima pagina e una sotto l’ultima pagina. È importantissima poiché altro materiale duro, come il cuoio o le lamine di metallo più vile si possono pure usare per racchiudere le pagine scritte finora sciolte che risultavano legate insieme da corregge o nastri, ma ne perdeva di bellezza l’aspetto del libro chiuso. La copertina perciò consta di due tavolette ed è in pratica un cofanetto aperto da tre lati dove sono adagiate le pagine più o meno come i nostri faldoni di un ufficio e le pagine, se richiesto, sono cucite al dorso pieghevole e attaccate in qualche modo alle tavolette ottenendo il libro rilegato questa volta, come lo vediamo oggi. Anche sulle copertine l’artista si sbizzarriva perché le impreziosiva e le abbelliva come solo lui sapeva fare creando dei veri e propri scrigni pregiati con tanto di catenaccio. Se le pagine erano anch’esse opere d’arte per le miniature e le pitture, il libro raggiungeva prezzi astronomici per i ricami, gli intarsi, l’oro e le pietre profusi. Che importanza aveva allora il contenuto? Ben poco, evidentemente.

Tutto questo lavoro era fatto dalla casa editrice di Eufrosina e siccome l’investimento di base, come oro, argento e pietre preziose, era ingente, un artigiano da solo non avrebbe avuto la capacità economica di eseguire tale compito su commissione perché le operazioni potevano durare mesi e talvolta un anno prima di avere il libro finito, di qui il ruolo del convento di tenere copie pronte per la legatura in archivio. Nello scriptorium i monaci letterati erano i più abili nello scrivere con eleganza e facevano da copisti o da amanuensi sotto dettato, mentre gli illetterati erano i legatori e gli altri. Per non causare errori nella sequenza l’amanuense usava mettere a piè della pagina una figurina o parolina che ripeteva poi nella pagina che seguiva e così il legatore sapeva come fare. I libri provenienti dalle Terre Russe e dalla Bulgaria avevano fama di essere il non-plus-ultra dell’editoria europea nel XII sec. CE. C. Lacroix (v. bibl.), storico d’arte medievale, così si esprime a proposito: “I manoscritti slavi in generale si raccomandavano non tanto per l’eleganza della loro esecuzione quanto per la ricchezza della rilegatura!” Chi possedeva libri, li teneva ben chiusi sotto chiave in una bella cassapanca al riparo dai ladri e chissà quanti incendi hanno distrutto in Europa libri editi da Eufrosina! Chi desiderava leggere un libro che non possedeva, poteva ordinarne una copia al convento che lo custodiva o leggerselo appunto in convento. La preziosità dei libri costringevano le biblioteche dei conventi a legarli con robuste catene agli scaffali, a limitare e persino impedire prestiti o asporti inutili, ma suggerivano anche di servirsi dei cosiddetti tachigrafi, di cui ce ne erano di bravissimi e velocissimi che effettuavano il lavoro di “precopiatura” in pochi giorni. Con questa copia ci si recava allo scriptorium che avrebbe realizzato il libro su ordinazione. I tachigrafi (stenografi) avevano convenzionato con gli scriptorium che solitamente frequentavano, vari artifici: dalle abbreviature di sillabe che si ripetevano a parole come Dio, Cristo etc. fino alle modifiche di alcune lettere dell’alfabeto in modo da riconoscerle facilmente e si scrivessero più velocemente per risparmiar tempo. La copia del tachigrafo era chiamata “copia nera” o “copia brutta” ed era illeggibile per il laico, se non era ricopiata in uno scriptorium. La copia “tradotta” dagli specialisti dello scriptorium era chiamata “copia bella” e passava a diventare un vero e proprio libro. Il tachigrafo di solito era una figura di buona cultura (magari un nobile messo al bando o izgoi) che si rifugiava presso un convento, rinunciando alla vita mondana, senza tuttavia diventare monaco, ma offrendo i suoi servigi agli esterni che venivano in biblioteca a procurarsi un libro. Era insomma un fedele penitente che cercava così la redenzione dei suoi peccati e il paradiso dopo la morte e la pace dell’anima vivendo di questo lavoro, il cui compenso versava interamente al convento in cambio di vitto e alloggio. Siamo quasi sicuri che Davide e Michele, fratelli di Eufrosina, facevano proprio questo per la casa editrice del Selzò attraverso una rete di contatti nelle biblioteche di Polozk, Kiev e Novgorod.

Eufrosina aveva comunque la costanza di controllare alla fine del lavoro ogni libro, pagina per pagina, prima di consegnarlo all’acquirente affinché dalla sua casa editrice uscissero soltanto opere perfette dal punto di vista tecnico. Solo a questo punto ne fissava il prezzo e per dare un’idea al nostro lettore un ordinario libro di cinquanta pagine costava intorno ai 3-4 mila euro!È importante sapere tutto ciò? Assolutamente sì, poiché lo scriptorium fissava innanzitutto le cronache locali nello scritto e sollecitava quindi la raccolta di informazioni e di testimonianze che attraverso il racconto degli eventi lì accaduti dopo accurata e sapiente selezione dava lustro al knjaz che lì regnava. L’élite al potere ne avrebbe sempre avuto 2-3 copie. Le cronache infatti registrando anche i giudizi emessi durante processi pubblici di reati abominevoli rappresentavano una raccolta di leggi e di pene da applicare in casi di reati simili. Naturalmente l’idea illusoria era che leggi e pene valessero per sempre, cercando e trovando similitudini visto che il potere giudicante del knjaz terzo giudice discendeva da Dio.

Le prime cronache e il modo di scriverle erano state importate da Costantinopoli col cristianesimo e con Jaroslav il Legislatore, figlio di Vladimiro il santo e di Roghneda di Polozk e fino al 1097 CE erano le uniche valide in circolazione. In quella data dell’assemblea dei knjaz sotto giurisdizione di Kiev, Vladimiro Monomaco aveva deciso e imposto che d’ora in poi ogni knjaz governasse nell’udel assegnatogli e vi fondasse la dinastia locale. Nella procedura era implicita la stesura delle cronache locali che continuassero quelle kievane con l’istituzione di uno scriptorium presso un convento pure locale.

Chiarito ciò, sappiamo che tutti i ricavi dalle vendite dei libri sono devoluti ai poveri sinché Eufrosina non s’accorge che ciò non è sufficiente all’emancipazione della sua gente. Si accorge che qui i poveri sono sempre i soliti contadini colpiti dalla carestia o dal non saper sfruttare i campi, dalla razzia e dalle epidemie e dalle epizoozie, benché non sappia ancora distinguere i due fenomeni morbosi. L’aiuto offerto loro deve essere più intelligente. Occorre insegnare loro a difendersi contro le calamità soprattutto ricorrendo a tecniche nuove, a differenti procedure di lavoro. Saccheggi e guerricciole baderà lei ad impedirle, mediando nelle liti fra i suoi parenti e impedendo l’allargamento dei terreni di scontro. Riconosce che i ricchi qui pensano solo a raccogliere risorse dai contadini senza compenso, ricorrendo spesso all’uso della forza. Lei ha più volte ribadito che così non si può governare perché il contadino invece di emanciparsi verso un mondo migliore tenderà a fuggire dal posto dove non vive bene e la terra coltivata s‘impoverirà sempre di più negando il prelievo del tributo e tanto altro!

È vero che lei è una religiosa, ma conosce bene il mondo presuntuoso dei principi e desidera in qualche modo incidere su questa situazione che va peggiorando. Deve farlo proprio con la sua attività conventuale che a poco a poco sta diventando quasi ricerca scientifica in tutti i campi. Polozk avverte il peso politico del Selzò e il convento di Eufrosina comincia a suscitare attenzioni indesiderate fra i notabili della città… ma qui forse i disegni divini o forse la fortuna ancora una volta favoriscono la nostra Badessa

REDSLAVA

Da qualche tempo ormai Sofia sentiva di essere arrivata al termine di una tanto sospirata gravidanza e quel giorno di gennaio aveva accusato le prime doglie. Era subito accorsa la mammana, moglie del volhv locale, che dopo una visita sommaria aveva decretato che il parto era ormai prossimo ed aveva preparato la polvere di rubino (jakont) contro i dolori da far ingerire alla partoriente. «Si dovrà sistemare e già riscaldare la banja là fuori!» ed aveva poi comandato ai servitori di preparare dei lini puliti e profumati per la principessa.

Finalmente si erano rotte le acque e Sofia era stata aiutata a trasferirsi all’interno. Qui Sofia, spogliatasi completamente, inginocchiatasi su un sedile in una piacevole temperatura aveva messo al mondo la sua prima bimba. Quest’uso della banja era particolare per i rutheni perché era l’unico ambiente igienicamente sicuro per un evento delicato come il parto. L’uso più comune era quello di sdraiarsi nudi sui banchi di legno e sudare nell’aria caldissima che si arroventava su dei ciottoli di fiume in un fornello. Sui sassi si spruzzava di tanto in tanto da una ciotola di legno dal lungo manico, se l’aria era troppo secca e bruciava in gola, dell’acqua che subito evaporava friggendo. Si stava per delle ore a crogiolarsi nel caldo e poi, sempre nudi, si correva giù dalla banja ad immergersi nell’acqua fredda mentre ci si batteva l’un l’altro con le punte di rami freschi tagliati con le foglie ancora attaccate, chiamati véniki.

Correva una leggenda dei cristiani di quei tempi che raccontava come Sant’Andrea l’apostolo fosse passato da quelle parti tanto e tanto tempo prima ed avesse creduto, meravigliandosene tantissimo, che i rutheni nella banja, chissà perché! si “flagellavano” fino a far diventare paonazza la pelle! Ancora oggi quest’uso di battersi coi veniki con forza continua a vivere allo scopo di ravvivare la circolazione periferica del sangue e sentirsi così rigenerare dopo il trattamento. In ogni modo la banja serviva non solo per riprendersi e lavarsi dopo le fatiche della giornata o per il parto come abbiamo visto, ma era un omaggio molto apprezzato nel mettere a loro agio degli ospiti. Questi infatti erano quasi obbligati ad usarla nudi insieme con gli altri della famiglia prima di essere ricevuti in casa!

Si noti che chiamo il padre di Predslava con due nomi Svjatoslav e Giorgio. Questo perché fra i nobili rutheni si usava metter 2 nomi ai bimbi appena nati. Uno, quello di famiglia, in onore di un antenato, nome solitamente d’origine slava (d’origine scandinava c’erano Olga, Oleg, Igor, Rogvolod e pochi altri) che era il “nome nobile” e un secondo naturalmente tratto dalla lunga lista dei santi greco-romani o dalla Bibbia. Della madre di Predslava la tradizione ci ha lasciato solo il nome cristiano e non quello nobile, mentre per Predslava sappiamo solo questo nome nobile e non quello di battesimo. Con Melnikov posso congetturare su motivi che tralascio che al battesimo Predslava ricevesse il nome di Eupraxia, ma… non è sicuro.

Risulta comunque essere un nome di famiglia e con un buon programma nel suo contenuto etimologico di quasi nobilissima o di buona fama, ma era anche stato il nome nientemeno della consorte del Gran Principe di Kiev, Svjatoslav, matrigna di Vladimiro il santo. Quest’usanza dei due nomi era prettamente nobile e recente e non corrispondeva agli usi della gente comune (in rutheno la gente nera ossia Cjorn’) e chissà che proprio il doppio nome costituisse la prima barriera fra Predslava e i suoi coetanei che non erano altrettanto nobili quanto lei.

Sofia e Giorgio erano marito e moglie da forse sei o più anni e chissà a quanti riti magici si erano sottoposti entrambi per provocare un sano concepimento. Ora finalmente il grande evento era giunto. Giorgio avrà avuto circa vent’anni quando nacque Predslava, ma tenendo presente che qui già a 13-14 anni si diventava maggiorenni e maturi per avere famiglia, restare senza figli dopo sei anni di matrimonio si era quasi al limite di un ripudio della sposa ormai considerata infeconda. Sofia invece finalmente aveva partorito…

La prima reazione di Giorgio all’annuncio che Sofia aveva messo al mondo una bimba e non un maschio, però fu di cocente delusione.

Con un po’ di fantasia posso sentirlo ancora urlare prendendosela con la mammana:

Come? Ho fatto tutto quello che mi avete detto: come fare all’amore in questo o quel modo, in quali periodi dell’anno ed ora? Una bimba! E che me ne faccio di una bimba? Mi costerà più doverla educare per renderla degna di un buon principe che poi mi toccherà cercare… Se fosse stato un figlio, allora sì! Sarei felice! Che mammana siete voi? Sapevo che non dovevo fidarmi di questi maledetti pagani! Avete anche affermato che il feto si trovava a destra e tutti sanno che quando il feto è a destra si partoriscono maschi. Dunque vi siete sbagliata! C’è poco da fidarsi di una contadina pagana come voi.

Nel Cantare della Schiera d’Igor, una delle byline più famose, è detto come educare un principino: a 3 anni va subito messo in sella perché impari a cavalcare, a 7 gli insegnano a leggere e scrivere, a 12 infine poteva entrare a pieno diritto fra gli otroki della družina paterna. A far questo Giorgio si sarebbe divertito e ne avrebbe tratto piacere, ma per una figlia, tutto ciò non si poteva fare. Un maschietto inoltre è sempre un alleato di suo padre, mentre una ragazza una volta sposatasi entra nel clan di suo marito e magari si sarebbe anche messa contro di lui negli anni a venire! Bella prospettiva!

Insomma sarebbe diventato vecchio prima d’avere un erede al trono di Vitebsk. E non è finita… A questa delusione ne segue, dopo qualche tempo, un’altra poiché anche la secondogenita è una figlia, Gordislava! Una vera condanna. E i maschi? Verranno dopo: Basilio conosciuto meglio col diminutivo rutheno di Vasilko, Davide rimasto senza appannaggi e che, a quanto pare, si fece monaco e Vjaceslav-Romano il più coccolato in famiglia che Predslava dirà di amare più degli altri.

Alla fine alla neonata è regalata una bella culla di legno dipinta di verde dai boiari di suo padre ed i suoi primi anni sono affidati ai servigi di una tata, kormilica, che l’alleva con tutte le cure che ha per gli altri suoi propri figli. Solo dopo lo svezzamento la restituisce in sostanza alla madre biologica per essere educata secondo i desideri di suo padre.

Alle donne nobili di quel tempo dal punto di vista dell’istruzione non è data grande importanza perché una volta sposatesi il loro unico ruolo era d’esser feconde e di fare da concubine preferite dai loro mariti. Le loro parole contavano pochissimo, anzi una donna era tanto più apprezzata quanto più sapeva tenere la lingua a freno… la solita vecchia storia!

VSELAV

Facciamo una prima conoscenza con un notevole knjaz del Medioevo Russo.Vediamo brevemente che c’entra nella nostra storia Vseslav il Mago e perché costui avesse ricevuto tale soprannome poiché si tratta proprio di lui: il knjaz in oggetto è proprio il nonno paterno di Predslava-Eufrosina o Badessa delle Paludi. Quando era nato, la mammana, moglie del volhv pagano locale, era rimasta colpita dalla grossa voglia di fragola che il neonato aveva sulla fronte, rosso sangue e spaventosamente tanto grande che aveva deciso di soffocarlo prima di darlo a vedere a sua madre, presagendo grandi calamità per la terra bielorussa. Chissà come però sua madre volle tenerlo in vita e Vseslav sopravvisse. La gente affermava che era frutto di un incantesimo e che quella voglia era il segno e la prova della sua origine magica. Secondo gli usi pagani del tempo, la prima cosa che si fece contro questa magia fu di lavarlo nello sterco umano, ma la voglia rimase al suo posto e rimase anche dopo essere stato battezzato. Per tutto ciò gli fu dato il nomignolo, il Mago (čarodei), e suo malgrado creduto incantatore e taumaturgo. Circolarono su di lui strane leggende di miracoli e fatti inspiegabili. Alcune anzi si fissarono in qualche bylina (nell’oralità epica popolare) come quella famosissima chiamata il Cantare della Schiera di Igor, composta moltissimi anni dopo in cui è nominato.

Lui stesso diceva fra l’altro che quando si trovava a Kiev udiva suonare le campane della sua cattedrale di Polozk a ben 600 km di distanza in linea d’aria! Si raccontava che, rinchiuso da suo cugino Izjaslav figlio di Jaroslav insieme ai 2 figli, pure a Kiev, in una fossa strettissima cui si accedeva solo dalla botola superiore, Vseslav malgrado la presenza del guardiano vagava per luoghi lontani libero e beato. Sia come sia, una volta liberato a Kiev, era stato acclamato dai kieviani Velikii Knjaz contro il fuggiasco, ma legittimo per regole d’età (v. pagine fa) Izjaslav. Nel 1068 CE in un’azione repressiva contro quest’ultimo, riconoscendo la propria posizione di potere inferiore, invece di comandare l’armata kieviana, aveva abbandonato la campagna militare per ritornarsene alla sua Polozk. E qui rimase a governare per ben 57 anni col ruolo di principe, ma sempre con uno strano copricapo sulla testa! E sì! Sua madre per nascondere la famosa voglia, sicuramente opera di un malocchio, gli aveva confezionato e imposto un cappuccio sin da tenera età e lui non se n’era mai più separato.

Tante altre storie si raccontavano ancora su di lui, persino che potesse trasformarsi in lupo… e tutte piacquero e divertirono la nostra Predslava di sicuro, per lei ciò era una conferma in più che la sua famiglia era una famiglia di eccezionali personaggi e chissà quante volte si rammaricherà di non averlo potuto conoscere, questo suo nonno o quanto spesso lo vanterà come l’antenato più importante!

Certamente nell’ambiente e nel comportamento, numerosi sono i segni tramandatici che indicano come Predslava-Eufrosina, da noi soprannominata la Badessa delle Paludi, seguisse le normali vicende di una nobildonna oziosa del XII sec. CE, ma occorre anche sapere da dove derivasse tale rango nobile. Non solo! Occorre capire in quali attività la nobiltà si esprimesse rispetto ai non nobili sul rapporto ineludibile di dominante-dominato in quel XI-XII sec. CE e dunque la storia di questo rapporto.

Partiremo da un’anagrafe mortuaria.

Si legge testualmente (P.G. Čigrìnov 2000): «Nell’anno 6609 [1101 CE] è trapassato Vseslav, il principe di Polozk, nel mese di aprile e nel giorno 14 alle ore 9 del mattino di mercoledì…» La prima (e forse l’unica) volta che viene registrata nelle Cronache Russe (v. infra e d’ora in poi abbrevieremo CTP) una morte con tanta precisione. Si tratta di Vseslav detto il Mago, principe o knjaz di Polozk, città sulla confluenza del Polotà col Dvinà-Dàugava, fiume quest’ultimo che attraversa Riga oggi, la capitale lettone.

Nessun personaggio nelle CTP meriterà una tale puntigliosità in futuro poiché è l’avvertimento per i suoi cari parenti che hanno subito le sue politiche e le sue imposizioni per un cinquantennio, che tale servitù è finita. In altri termini: Siete liberi di fare e disfare senza più veti armati o spese militari costose da mantenere sulle rive baltiche!

LA CROCE DI BOGHSA

Finalmente è pronta. Debitamente benedetta con una magnifica funzione è posta su uno stativo con un bel cuscino rosso davanti all’iconostasi della Chiesa del Salvatore. Però è costata un bel po’ di soldi, sebbene anche stavolta l’esborso non l’ha fatto il convento, ma è stata pagata da Vseslav, il figlio di Vasilko e nipote della badessa. Vseslav è stato insediato sul trono di Polozk e sapendo, da scaltro giovane, che qui chi fa il buono e il cattivo tempo è proprio sua zia.

Eufrosina a questo punto si è dovuta guardare un momento intorno per fare il bilancio della sua vita. Ha ormai raggiunto la ragguardevole età di cinquantasette anni, tanti per il XII sec. CE! Il Selzò è cresciuto divenendo una piccola città con i suoi due monasteri, proprio a dimostrare che Dio ha avuto benevolenza con lei. L’attività conventuale del Selzò è penetrata nelle terre selvagge dei Lituani, dei Livoni e dei Ciudi. Certo, i volhvy pagani hanno un loro ruolo nella campagna, ma i preti cristiani continuano a guadagnare terreno su questi demoni delle religioni ormai screditate.

Tutto funziona a dovere: la scuola per le ragazze (si accettano sia le nobili sia le semplici purché “dotate per lo studio”), la scuola per i ragazzi (una novità, perché finora i ragazzi nobili hanno imparato solo a combattere!). C’è uno scriptorium che sforna libri d’alta qualità ed incassa anche bene da quando è cominciato a circolare denaro sonante di origine quasi tutto occidentale. E’ il suo orgoglio. Anche lei ha scritto libri di suo pugno e tanti anche! È riuscita a mettere in ordine le Regole Ecclesiastiche di Vladimiro il Santo in ben 14 articoli e ha cominciato a scrivere le Cronache di Polozk sperando che altri le mantengano aggiornate dopo la sua morte. I due conventi gestiscono altresì piccoli ricoveri e un ospedale, offrono assistenza a vecchi e malati abbandonati dalle famiglie. C’è una farmacia attrezzatissima di erbe e di tisane curative coltivate nello stesso convento o raccolte dagli esperti del cenobio lungo i fossati, nei campi e nella foresta. La farmacia fornisce anche prodotti cosmetici e tanti altri rimedi. Un contatto speciale dunque!

È importante ribadire che i conventi del Selzò nel bel tempo fungevano non solo a preparare da mangiare per l’agape festiva o come ogni giorno per decine di fra monaci e monache, ma pure da hotel per i mercanti ospiti della città. Per di più praticando un’intensa orticoltura, scambiavano artigianato religioso con i semi di piante esotiche procurati dagli ospiti che i conventi dopo sperimentavano per poi adottarne e proporne l’uso e il consumo ai contadini locali. Il poco vino usato per l’eucaristia era importato e ben custodito.

Eufrosina non ha mai lasciato il suo lavoro di copista e amanuense, ma tiene contatti con tutti quelli che passano da Polozk. S’informa di quel che accade fuori con gran curiosità, intrattiene corrispondenze di vario tipo con altre città e tutti corrono da lei per un consiglio o solo per sentirla parlare d’argomenti su cui lei vanta un’autorità assoluta. Ha fatto tutto questo con gran piacere perché ama tutti come suoi figli e figlie con tutte le sue forze e probabilmente è diventata un po’ troppo autoritaria pur cercando sempre di nascondere dietro il severo cipiglio una giustizia ispirata alle leggi del Vangelo né ha conservato rancori per nessuno ed è sicura di non aver tanti nemici. A Polozk di certo hanno imparato a stimarla e qualcuno va addirittura dicendo di essere stato miracolato da lei….

E pensa di dover scegliere una sostituta che continui la sua opera con lo stesso spirito e intenti suoi poiché ha deciso di chiudere la sua vita in Terra Santa, a Gerusalemme. Da tempo sul viaggio ha chiesto informazioni fino all’Imperatore Manuele, aspettandosi il suo eventuale appoggio, mentre non era ancora del tutto convinta che sua sorella Gordislava-Eudocia potesse occupare il suo posto per il futuro. Anche per questa ragione ha esitato finora ad intraprendere un cammino così faticoso e decisivo. Ha avuto tante cose da fare e non voleva lasciare nulla in sospeso, nell’incerto. Adesso però sembra giunto il tempo e continua a raccogliere informazioni sulla Terra Santa e non è tanto sicura di riuscire a partire dacché ha saputo degli esiti incerti delle Crociate dei Franchi contro i musulmani. Inoltre ha sentito affermare che l’Egitto minaccia Gerusalemme e vi sono scontri armati frequenti in Palestina. Chissà, forse è meglio aspettare.

Anche qui nelle Terre Russe è difficile viaggiare verso il sud perché i Cumani hanno spinto i Peceneghi fin sotto Galič ed i Bulgari vessati dall’eresia bogomila cercano di liberarsi dal giogo bizantino e dai nuovi intrusi Peceneghi e Ungheresi. Tutto sommato ha un po’ paura a muoversi.

Ormai i fondi per il viaggio ci sono, quindi è bene riflettere su chi dovrà accompagnarla in questo viaggio, sicuramente, l’ultimo della sua vita.

La sua salute non è delle migliori. Probabilmente i disturbi della menopausa e qualche infezione non curata le causano vari fastidi che la rendono debole e nervosa distogliendola dalle sue attività preferite. Se non avesse quella forza d’animo che si ritrova, da qualche tempo avrebbe rinunciato di farsi carico dell’amministrazione del convento. Non che le monache più giovani e collaboranti siano poco intelligenti, no! Le reputa soltanto un po’ superficiali e distratte. Il suo cruccio è sua sorella Eudocia, come abbiamo detto. Di lei ora si fida, ma la ritiene troppo sottomessa alla sua parola e alla sua autorità, a discapito della propria che dovrebbe far risvegliare. Forse quando andrà via per sempre Madre Eudocia si attiverà come non ha fatto finora e saprà continuare la sua opera. Sua sorella però a contemplarla bene, secondo quanto appare nella Vita in verità, molto capace, senza dubbio la persona giusta per subentrare nel priorato del Monastero, ma dovrà essere lei a raccomandarla al vescovo di Polozk affinché la confermi come igumenica. Ciò non è un problema, perché Dionisio, il vescovo è, si può dire, ai suoi ordini!

È sua caratteristica sentirsi sempre scontenta di se stessa e da tipica perfezionista ha paura di non aver completato bene quello che ha incominciato e di non aver fatto abbastanza per quelli che lei considera i suoi figli amatissimi: i monaci e le monache del Selzò! Incrollabile invece è la sua fede in Dio. Solo questa può aiutarla a superare gli ostacoli che le si porranno dinanzi nel gran viaggi che sta per intraprendere.

Su questo è già da un pezzo al al lavoro.

Ha preventivato le spese cominciando dai doni da fare alle persone autorevoli che incontrerà e che la ospiteranno durante le soste e alle varie chiese dove si fermerà a pregare o per bisogni corporali vari. Certo, tutto deve essere ridiscusso e approvato dall’economa (ključnica) del monastero.

I due conventi stavano attraversando un periodo di grande floridezza e il viaggio della Badessa darà ancora più lustro a Polozk! Sicuramente però il convento non deve rimetterci a fornirle i mezzi per il viaggio! Lei non ha tante necessità…

Così una sera si apparta con Eudocia e le parla dei suoi propositi e delle sue preoccupazioni ora che sta pensando ad una data vicina per la partenza. Proviamo ancora una volta a ricostruire il dialogo fra le 2 sorelle. Lei: «Sto aspettando di ricevere notizie più dettagliate sulla situazione in Terra Santa per decidere quando e come spostarmi. In linea di massima l’itinerario lo avrei già in mente. Polozk, Vitebsk, Moghiljòv, Rogačov, Rečnica, Ljubeč, e Kiev. Qui mi fermerò perché visiterò il Monastero delle Grotte di Kiev. A Costantinopoli poi restano 1500 verste, tutte via mare. Spero proprio di non sentirmi troppo male poiché sul porto ho da passare su navi straniere e far la traversata fino alla Terra Santa. Dio mi darà la forza? Tu, Eudocia, devi continuare la mia opera perché io parto e so di non ritornare mai più. Sarai la nuova autorità nelle Terre di Polozk. Il vescovo Dionisio ci è stato sempre fedele e devoto, per tale motivo non puoi che essergli amica e confidente. Cerca di essere sempre giusta e equa con tutti, non guardare gli abiti del tuo interlocutore, ma i suoi occhi perché attraverso loro puoi leggere la sua anima. Ricordati che in questo mondo tutti nasciamo nudi e nello stesso modo: Siamo tutti figli di Dio sia potenti sia deboli, sia ricchi sia poveri, sia malati sia storpi. La nostra storia sta nei suoi celesti disegni e a lui dobbiamo rendere conto del nostro operato sia che ci abbia posto in alto sia in basso della scala sociale. Dio solo è il nostro giudice e ricordati che non è sempre indulgente. Prega sempre per la salvezza della tua anima e per la salvezza delle anime che abitano queste terre. Di una cosa ti prego: Fa che i miei resti ritornino qui nella cella che lascio.»

In altre circostanze Eudocia avrebbe pianto, ma da monaca anche se turbata è serena. Sa che Eufrosina obbedisce alla volontà del Signore. Né ha dubbi a continuare l’opera della Badessa con lo stesso spirito. E dice: «Madre santa e, permettimi per quest’ultima volta di dirlo, sorella carissima! Tu vai a fare il tuo ultimo viaggio cercando la pace dell’anima che sicuramente troverai quando ti si apriranno le porte del Cielo. Tu sai anche quale tristezza come donna e come sorella, perdonami ancora se ti parlo così, mi assale al pensiero di non vederti mai più, ma la mia fede, la mia scelta mi hanno insegnato che questi momenti si superano con animo tranquillo avendo fede solo in lui, in Cristo Salvatore che io ho sposato. Io sarò felice quando ti vedrò partire proprio perché sono sicura che la strada ti è stata indicata dalla Vergine Odighitria. Stai tranquilla per il Selzò. Tu lo hai così ben avviato e organizzato che è quasi impossibile che le cose vadano per il verso sbagliato. Io sono abbastanza introdotta nell’amministrazione e con la competenza dell’economa avrò cura d’ogni bene. Il Signore Dio ci guarda e ci benedirà.»

Eufrosina è contenta. È la risposta che si attendeva. Così invita sua sorella alla preghiera prima di andare a dormire. Anzi! Aumenterà la ruvidezza del cilicio che le cagiona sofferenza.

Un altro giorno è passato nell’inverno e fra qualche settimana ormai è la nascita di Cristo.

AL NORD

Qui al nord la notte di mezza-estate è brevissima e addirittura non c’è nemmeno il buio notturno per più giorni e appena un po’ più a nord di Polozk, a Tallinn o a San Pietroburgo, è il tempo delle così famose “notti bianche” quando il sole non tramonta per quasi una settimana o poco meno in tutto l’arco delle 24 ore.

Il mito che qui raccontiamo coi suoi riti preparatori e culminanti ha molte varianti nel Nordest, ma se ne deduce altrimenti una base comune paneuropea e maschilista. In poche parole il maschio umano, ipostasi del dio supremo del cielo vede una bellezza femminile terrena e pretende di giacere con lei. All’uopo le fa regali fin quando lei non si concede. L’accoppiamento avviene in grande stile poiché il firmamento con tutti i suoi astri si fermano in attesa che il dio finisca e ritorni alle sue attività senza strascichi.

La Festa di Kupala rammentava questo mito in versione slavo-russa del dio massimo del sole Dažbog e il suo amore per la bellissima Lada, figlia del Re del Mar Baltico e madre di tutti gli uomini, secondo un testo del XI sec. CE.

Il primo segno dell’inizio della festa era spegnere la stufa (pečka in rutheno) che era stata accesa tutto l’anno, svuotarla dalla cenere fin qui accumulata per con farne il ranno per il grande bucato dei vestiti del 23 giugno e di qui forse kupat’, verbo slavo-russo col significato di mettere a bagno e etimo di Kupalo. In un gran truogolo di legno si poneva uno strato di ranno e uno strato di panni e così via a riempire il truogolo fino all’orlo. Si versava poi l’acqua bollente e si lasciava fino alla mattina dopo nel mentre si svolgeva la festa. Solo dopo si sarebbe risciacquato e i panni stesi sul prato ad asciugare, bianchissimi e profumati, avendo avuto l’accortezza di mescolarli nel risciacquo con erbe aromatiche. Col ranno rimasto si faceva persino una pomata per rischiarare i capelli e la si regalava a chi ne volesse…

Intanto Dažbog aveva visto la bella Lada e se ne era innamorato. Lada (concordia) soleva andarsene per mare sulla sua barca d’oro sola soletta, vogando con i remi d’argento che ad ogni sciabordìo spruzzavano l’acqua scintillante fino al cielo dove si trovava Dažbog. Il dio decise di chiedere la sua mano al Re del Mare e si tuffò nell’acqua (di qui anche il nome Kupala o tuffo nell’acqua) con i suoi doni per presentarsi degnamente al padre di Lada. Il Re del Mare non gradì per nulla la visita e lo scacciò in malo modo, facendolo battere dai suoi servi che lo lasciarono mezzo morto sulla riva.

Quando si riebbe, Dažbog decise che avrebbe avuto Lada a tutti i costi e sapendo che l’unico modo per portarsela via era di farla approdare sulla spiaggia dove suo padre non aveva più poteri, mandò i suoi servi al mercato per procurarsi le cose esotiche più belle e più sfavillanti. Ordinò loro di metterle in bella mostra sul bagnasciuga e aspettò che Lada sbarcasse. Fra le altre cose esposte c’era un bel paio di scarpe di color verde col tacco altissimo come andavano di moda a quei tempi, che Lada, appena le avesse viste, per curiosità femminile avrebbe voluto provare. Mentre era lì occupata ad infilarsi le scarpe, i servi di Dažbog la catturarono e la portarono finalmente da Dažbog. Ora che il dio poteva avere l’amore tanto desiderato, si ritirò con lei dimenticando il sole in cielo. Solo quando si concluse tutto secondo i suoi desideri, Dažbog fece riprese a vagare nel firmamento e far venire la notte… Ecco perché alla mezza estate i giorni son così lunghi!Come tutti gli anni la saga si cercava di farla rivivere da parte degli uomini con la superstizione che, evitando di celebrarla, sarebbe andato l’intero mondo a fuoco. Durante la mezza-estate il terem si mobilitava sulle rive della Dvinà insieme al resto della gente del contado per il rito amoroso in uno spiazzo nella foresta.

Innanzitutto andava preparata la cerimonia per l’accensione di un grande falò. Ad una certa distanza dalla riva era stato infisso un palo attorno al quale tutti ammucchiavano, cantando, paglia, rami secchi, vecchi oggetti di legno da buttar via, etc.

Altro rito ineludibile era appiccare il fuoco col metodo dell’attrito di un tronco appuntito fatto ruotare in un cavo d’un altro tronco come si vede in figura.

Chiaramente i giovani a tirar la fune una volta da un lato e un’altra dall’altro lato erano squadre formate dai nativi e l’attrito prodotto incendiava l’esca di segatura avendovi mescolato il fungo, Fomes fomentarius (v. bibl.) che appunto prendeva fuoco. Intanto era previsto che si formassero coppie in amoroso consenso di qualsiasi età e senza pregiudizi sui legami di quel momento. Alla sera (secondo l’orario delle clessidre a sabbia) si dette fuoco all’enorme falò previsto e se ne accesero altri onde consentire alle coppie di passare saltando sulla brace ardente, ballando e cantando in coro e facendo il giro del falò per tre volte. Il rito prevedeva la purificazione delle gonadi con il fuoco, ignudi come si celebrava all’epoca pagana e in camicione unisex come erano in cristianità. Dopodiché era prevista una copula pubblica in onore di Dažbog e di Lada. Naturalmente anche questo rito fu soppresso col cristianesimo: Se volessero accoppiarsi, che lo facciano pure, ma nel fitto della foresta.

@AldoC.Marturano

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