mondo slavo

VARJAGHI,VICHINGHI O RUS? @aldo c.marturano

Una lezione scritta dal maggiore esperto italiano di medioevo russo.

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Gli scandinavi sono conosciuti in Europa come grandi navigatori per la natura dell’ecosistema in cui vivono, tuttavia mentre norvegesi e danesi si avventuravano immediatamente nel Mar del Nord allora considerato il mitico Oceano che circondava la terra abitata, non era lo stesso per gli svedesi che si affacciavano sul Mar Baltico. Esaminiamo un po’ meglio la questione. Dalle coste norvegesi (e/o danesi) si partiva con un buon spirito di avventura spinti ad affrontare il mare persino per raggiungere le mitiche terre ai confini del mondo: la fantastica Ultima Thule che in seguito si rivelerà essere il continente americano. Con uno sguardo più corto invece il viaggio verso le coste più vicine ossia la Scozia o il nord dell’attuale Francia era preferibile. Con la navigazione – minimo! – di una giornata intera a volte con venti favorevoli e a volte con correnti contrarie o burrasche i naviganti avrebbero trovato all’approdo monasteri e chiese pieni di valori – gli ex-voto dei pescatori in oro e argento, ad esempio – da saccheggiare oltre alle cittadine dove avrebbero potuto razziare giovinetti da vendere in schiavitù. Al-Andalus (con capitale la splendente Cordova) li conosceva bene, questi pirati, sotto il nome generico di al-Majus (sebbene li identificasse secondo alcuni documenti con i Rus) già nel VIII sec. d.C. e faceva con loro mercato non solo per gli schiavi.I viaggi in ogni caso prima di mettersi in mare avevano come base cognitiva le informazioni raccolte soprattutto presso i mercanti ad es. a Birka o a Haithabu nel IX sec. d.C. Per gli Svedesi che infatti si affacciavano in un mare interno, il Baltico, già sapevano dalle tradizioni delle millenarie migrazioni germaniche, quanto esso fosse relativamente calmo e con brevi distanze da una costa all’altra, sebbene si fosse convinti di trovarsi sempre nell’Oceano mitico delle coste norvegesi. Per l’epoca tuttavia sulle coste baltiche non v’erano chiese né cittadine da saccheggiare. Anzi! Si sapeva che fossero covo di pirati in agguato fra gli alberi fitti fin sul bagnasciuga… Eppure i sentito-dire di un mondo meraviglioso al sud e di qualcuno che c’era stato e poi era ritornato a raccontare spingeva a tentare il lungo e difficoltoso viaggio di attraversamento della foresta russa!La Scandinavia fino al XV sec. era considerata un’isola circondata dall’Oceano situata ai Limiti del Mondo ricalcando le concezioni degli antichi geografi, fra cui Plinio il Vecchio. Con una carta geografica fra le mani, subito ci si accorge che, datasi una ragione per lasciare le proprie terre e cercarne altre lontane, nel caso dei Norvegesi recarsi nella foresta della Pianura Russa avrebbe significato percorrere un lungo giro intorno alle loro coste piene di fiordi fino a Capo Nord e poi virare verso sudest in lande desolate e sconosciute. L’impresa restava certamente “spaventosa” da compiere nell’Oceano popolato di mostri e con acque piene di vortici mortali (ricordate ad es. il Mælstrom di Edgar Allan Poe?) che trascinavano nell’abisso ogni navigante verso la morte senza scampo, per tacere dei ghiacci e del freddo intenso, se ci si avventurava d’inverno! Sappiamo ciononostante dalle saghe islandesi che con quegli estremi pericoli ci fu chi riuscì, forse casualmente, a seguire la rotta settentrionale lungo i fiordi per entrare nell’odierno mar Bianco nell’estremo nord. Vagando sperduti nella semideserta tundra artica costoro capitarono presso un tempio dei finni (saami) che lì abitavano e lo saccheggiarono delle pellicce e delle altre cose preziose lì custodite. Oltre non andarono per paura dell’ignoto e della rappresaglia “magica” dei locali e si ritirarono. Fu una di quelle imprese che non furono più reiterate e pochissimi credettero che l’impresa fosse stata mai compiuta realmente come due mercanti l’avevano raccontata al re sassone Alfredo in quella parte misteriosa di mondo! Il nome tardo-medievale Norrvegr o Rotta verso Nord rimase comunque attaccato alla terra occidentale scandinava come un destino dei suoi abitanti che erano così esclusi dalle frequentazioni nel mar Baltico, ma incoraggiati a proseguire nel nord…Chi scrisse di questi e altri eventi erano di solito cronachisti ecclesiali franchi del continente intorno al IX-X sec. e parlavano di Uomini del Nord (Nordman) o di Pagani (gentiles, pagani) se non proprio di pyratae, vecchio e spregiativo vocabolo latino mediterraneo del tempo di Pompeo, pur malcelatamente ammirati per le loro tattiche guerresche. In realtà da subito si trova una distinzione negli Annales Bertiniani fra Svedesi e il resto degli Uomini del Nord. In queste cronache franche in particolare i Danesi, sono definiti fino alla metà del IX sec. pyratae, mentre un gruppo di tali “normanni” affidati dall’Imperatore Teofilo (829-842) a Ludovico il Pio provenienti dalla Pianura Russa si dicono Sueones ossia Svedesi e, diretti in patria, sono lasciati passare in terra franca dopo un’accurata identificazione. Nella Vita di san Ansgario, primo vescovo di Amburgo, si narra – tanto per fare un esempio – che intorno alla metà del IX sec. i Vichinghi volessero attaccare la città di Birka, situata all’interno delle coste baltiche svedesi, ma che prima dell’attacco si consultassero con gli dèi e a causa del responso negativo l’attacco non avvenne. Mettendo da parte l’elemento miracoloso-edificante del cronista Rimberto che ascrive ogni merito di salvezza al dio cristiano, è chiaro che i Vichinghi rinunciavano a un’impresa troppo complicata, se non organizzata in anticipo, e per di più evitando il disturbo agli amici mercanti!Più toccata dai Vichinghi, come scritto, è la Scozia, prossima ai fiordi norvegesi, ed è proprio qui che nasce la parola Vichingo assente nelle sopracitate cronache. Viking, Wiking et sim. non indica una nazionalità particolare, ma dei pirati che apportano scompiglio e morte alla gente che vive nel raggio delle loro razzie. Malgrado ciò, rinunciato ad immaginarli a spasso nel mar Baltico, mi chiedo: Che cosa poteva spingere questi arditi a lasciare le coste di casa propria? E come erano composti i gruppi in movimento? Forse è utile risalire a proposito ai Goti, visto che sono gli antenati di tutti i normanni, se così si può dire. La famosa opera Gesta dei Goti (ca. 551 d.C.) di Jordanes ne parla attingendo dalla Storia dei Goti del predecessore Cassiodoro. Qui ho trovato non solo gli itinerari seguiti dagli svedesi intorno al II sec. d.C. con l’accenno alle necessità che li spingevano a lasciare quella terra conquistata di recente, la Scandinavia baltica, ma anche i nomi delle genti del Grande Nord con le quali vennero a contatto. Ne riporto di seguito qualche riga che riassume le conoscenze dell’epoca: «Nel Nord nei flutti salati del Mar Oceano c’è una grande isola: La Scandinavia [da lui chiamata Scandza]. Ha la forma di una foglia di albero di limone con i lati frastagliati, distesa per il lungo e chiusa in se stessa. Pomponio Mela informa che essa si trova sul Kattegat dove infatti il Mar Oceano arriva con le sue onde. La parte anteriore [orientale] è proprio davanti alla foce della Vistola che nasce nei Monti della Sarmazia e arrivato in vista della Scandinavia si divide in tre rami e si versa nell’Oceano [qui c’è la conferma che le acque baltiche sono acque dell’Oceano mitico] dividendo la Germania dalla Scizia. L’isola scandinava ad oriente ha un grande lago [è il Malären] …. e in occidente è bagnata da un mare immenso che la tocca fin nel nord e non è navigabile…»In questa opera preziosissima ecco che apprendo come in un fosco mattino nella Terra dei Goti (sud dell’attuale Svezia) si raccogliessero a concione le famiglie dei maggiorenti per discutere di una situazione che stava diventando invivibile. La comunità era cresciuta e la precarietà della locale agricoltura e delle altre risorse di cibo disponibili non permetteva più di nutrire a sufficienza tutti. Si decise allora di dividere il popolo in tre gruppi e poi di tirare a sorte quale di questi avrebbe lasciato l’attuale patria per sempre. Nel 150 d.C. il gruppo scelto dalla sorte lascia dunque le coste svedesi più o meno dalle parti dove si trova oggi Stoccolma e si dirige verso sudest. La geografia che illustra la penetrazione dei Goti attraverso terre oggi polacche è abbastanza chiara. Il primo fiume che incontrano sul continente è la Vistola che viene percorsa tutta contro corrente. Senza andare nei particolari la spedizione ebbe successo e il nome dei Goti si sparse per tutta l’Europa proprio con la fama di quell’impresa che rimbalzò fissandosi nelle tradizioni locali nel nord nella realizzazione di un grande sogno. È quasi sicuro che da essa nacque quel desiderio di volgersi a sud dove c’era la vera ricchezza (intesa come abbondanza di cibo) e dove il calore del sole ti avvolge per tutto l’anno in città bellissime fra splendide donne etc. Non solo! La validità dell’itinerario scelto era ormai stata provata e chi ne avesse voglia nei secoli seguenti l’avrebbe ripercorso per nuove imprese.Per i Goti di Ermanarico – il capo della detta spedizione – la meta ultima era Roma in Italia, ma dopo la devastazione vandala e lo spostamento del centro politico romano-imperiale sul Bosforo, la meta nel IX-X sec. diventava Roma Nova o Secunda ossia Costantinopoli cioè la mitica città che le genti del nord chiamavano semplicemente la Città Grande (Mikla Gårdhr) riconoscendola la più grande città del mondo.E’ anche vero che in Norvegia arrivavano frequentemente informazioni dal sud del continente sui fiorenti insediamenti cristiani, specialmente sollecitando l’attività quasi frenetica del vescovado di Amburgo e Brema in mano a san Ansgario e ai suoi collaboratori. Anzi! E’ certo che i monaci irlandesi eremiti furono i primi a colonizzare le coste della lontana Islanda e che, altrettanto sicuramente, facevano tappa lungo le coste e nei fiordi dell’odierna Norvegia. Qui essi narravano alla gente delle loro abbazie, dei conventi con i villaggi annessi lungo le coste francesi e inglesi e sulle isole ancor più a occidente. Hibernia (Irlanda) è una di quelle da dove essi stessi provenivano situata in mezzo all’innavigabile mare Oceano che solo un santo monaco come san Brandano sapeva attraversare indenne. Con questi racconti e con i loro libri magici i monaci tentavano naturalmente allo stesso tempo di evangelizzare questi goti pagani! E invece il loro raccontare attirò l’attenzione e l’avidità e provocò le malaugurate imprese vichinghe su quelle abbazie e su quei villaggi indifesi… con base proprio questo lato occidentale della Scandinavia!In Svezia al contrario furono i mercanti (quasi sempre bulgari e ebrei) a portare le notizie su Roma Secunda e sui suoi splendori e delle capitali musulmane altrettanto magnifiche come Baghdad inaugurata intorno a 800 d.C. e ciò, secondo me, risultò accattivante per gli Svedesi che capirono di trovarsi geograficamente più vicini di altri “nordici” a queste città ricchissime. Arriverà persino l’informazione che ci siano le possibilità di essere ingaggiati a far da scorta armata a convogli commerciali o a diventare guardie a re ed imperatori o ancora a far da truppa speciale nelle spedizioni guerresche… molto ben pagati! Come un qualsiasi avventuriero disperato o deciso a dare una svolta alla sua vita, il futuro svedese intraprendente cerca una vita più agiata e, siccome l’unica cosa che sa far meglio è la lotta armata (anche per ragioni fisiche visto che il migrante è sempre un giovane in ottima salute e ben in forze). Attenzione però, non la guerra come la intendiamo oggi, ma l’arte di combattere nel corpo a corpo in una razzia. Sarà uno di questi arditi a mettere insieme un giorno un gruppo di intenzionati come lui a partire. Seleziona i suoi compagni, si procura i finanziatori per acquistare le armi (le migliori spade sono importate dai Franchi e a quei tempi costavano fior di quattrini), costruisce la sua nave (altra grossa spesa) e, giunta la buona stagione, va per mare alla ricerca delle vie per il sud. Il mar Baltico è un mare interno pochissimo esteso in confronto all’analogo Mediterraneo. E’ pieno di isole e perciò facile da attraversare cabotando da un’isola all’altra o persino a nuoto! Muoversi da una costa all’altra è quindi agevole e non richiede navi attrezzate per le tempeste “oceaniche” del Mare del Nord o per lunghe traversate. Le famose impressionanti e enormi navi “vichinghe”, i knørrar o i drakkar trionfali, qui sono superflue ed è inutile credere a quei documentari o a quelle storie di Vichinghi che viaggiano in acque baltiche su queste pittoresche navi! Un qualsiasi svedese alla ricerca di avventure non aveva difficoltà ad approdare sulle coste di fronte a lui, come fanno ancora oggi i suoi epigoni con le popolarissime barche a vela, senza dover necessariamente essere attrezzato con mezzi costosi… Ribadisco che le grandi navi ritrovate dagli archeologi danesi e svedesi e ricostruite in vari musei, erano più necessarie sull’Oceano che non nel mar Baltico e, figuriamoci poi, lungo i fiumi russi! Lasciamo dunque i norvegesi nel loro Mare del Nord… a fare i Vichinghi e focalizziamoci sulla Svezia sud-orientale.Partendo dall’Uppland dove oggi c’è Uppsala o da Sigtuna, a poche miglia marine c’è subito la grande isola di Gotland o verso nord saltando di isoletta in isoletta, chiamate oggi Åland, si giunge sulla costa finlandese. Si può optare per il nordest e allora s’incontra la costa della Curlandia e le isole che chiudono il Golfo di Riga. Miglia più avanti verso est e si entra nell’odierno Golfo di Finlandia fino alle isolette che sbarrano oggi il porto della moderna San Pietroburgo. Qui siamo alla foce della Nevà, all’epoca paludosa e creduta come parte dell’Oceano mitico. Questo è il Baltico e questi sono i suoi navigatori medievali più assidui: i cosiddetti Variaghi! Né sono soltanto e sempre in viaggio in grossi gruppi organizzati, poiché c’è anche qualche navigatore solitario e persino su tratti di percorrenza lunghi. Anzi! Qualcuno di questi, se aveva fortuna, si stabiliva nei dintorni dell’approdo a lui più favorevole e, sposando una figlia delle genti locali, la sua vita si concludeva lì. Di tanto in tanto sarebbe anche tornato in patria dai suoi vecchi, proprio in vista del facile viaggio di andata e ritorno, e avrebbe raccontato nel vecchio giro di amicizie delle esperienze fatte in terra straniera che ora era la sua nuova patria.E, come è documentato nelle saghe scandinave, si sarebbe offerto come guida esperta per la zona da lui abitata… Un altro punto da chiarire una volta per tutte è che non è mai esistito un “popolo varjago” alla ricerca di una terra dove fondare una nazione nuova e perciò neppure la ricerca di un’origine dei varjaghi in un esatto luogo della costa svedese ha ragion d’essere. A me consta che i Variaghi costituissero delle bande organizzate per imprese di saccheggio. L’impresa doveva fruttare tanta ricchezza da poter tornare in patria a riprendersi nella comunità un posto sociale migliore di quello che avevano lasciato. E, se non lo erano ancora, diventavano dei corsari, dei predoni che si presentavano in vesti di mercanti più o meno “pacifici” e infine, oserei dire, sono loro i precursori sia della “legale” Hansa germanica sia degli “illegali” Vitalienbrüder di qualche secolo dopo che batteranno le stesse rotte! Purtroppo i viaggi nel Medioevo erano pari alla morte! Si sapeva quando si partiva, ma si ignorava se si sarebbe mai tornati e, se è vera la nostra ipotesi degli emarginati, faceva comodo alla comunità se costoro scomparissero per sempre con un semplice viaggio. Ciò non contraddice il fatto che altri loro congeneri (non esclusi i danesi e i frisoni, tanto per non far torto a Saxo Grammaticus, v. bibl.) si fossero invece già integrati nelle realtà straniere della costa baltica meridionale, benché da un’analisi linguistica del termine Varjaghi nell’annalistica russa si evidenzia come esso si riferisse solitamente agli armati che battevano il mar Baltico orientale più remoto e non a quelli che s’insediavano sulle coste o vivevano da ospiti pacifici in città dell’hinterland baltico.Il termine Varjago appare presso il cronografo greco Kedrenos nel 1034 col significato di guardia del corpo dell’Imperatore ed è esteso genericamente ai gruppi armati di gente del nord. E’ evidente che le CTP errano nell’elencare i Varjaghi fra i popoli baltici, visto che un popolo non sono! E’ chiaro che gli elenchi delle CTP vanno visti come le solite classificazioni dei popoli secondo la Bibbia con la famosa dispersione per il mondo dopo la Torre di Babele. Un “apolide” come uno svedese fuggiasco o pellegrino è inconcepibile per l’amanuense se non fa parte di un popolo nominato nelle sacre scritture e per di più mi pare di poter distinguere nella nomenclatura fissatasi nelle lingue russe 2 tipi di migranti svedesi: i Varjaghi e i Kolbjaghi. Kolbjag è anch’esso un termine comparso tardi (XI sec. in Michele Attaliate, bizantino, e nel XVI sec. accettato nelle CTP) per un portapacchi, un trasportatore, un traghettatore insomma una specie di postino o guida che sa dove andare, se gli affidate qualcosa da consegnare ad un determinato destinatario, ma… straniero e svedese! Il termine ha un etimo nella parola kylfingr che in norreno (la lingua degli scandinavi in cui sono scritte le saghe islandesi e antenata del moderno svedese e delle due lingue norvegesi in uso) indica uno che usa la pertica o il bastone (kylfa in norr.) per viaggiare, per indicare il suo rango, ma anche da usare come pegola su una zattera e dunque più pittorescamente è uno sperticatore (più avanti capiremo il perché)! Un Kolbjag è molto importante per chi voglia viaggiare lungo i numerosi corsi d’acqua della Pianura Russa. Infatti chi naviga contro corrente, se non conosce la strada per giungere al destino prefissato, corre il rischio ad una confluenza di perdersi nella corrente sbagliata! Da Costantino VII Porfirogenito sappiamo che addirittura lungo i grandi fiumi russi sono da evitare rapide e secche! Una guida che conosca bene l’itinerario, man mano che ci si addentra nel folto mentre si è su un natante, è quindi importantissima. Non solo deve conoscere il luogo, ma saper anche parlare le lingue dei nativi che si incontrano per accordarsi con loro, per aggiornare le informazioni giacché le correnti possono aver cambiato alveo o altro. In altre parole deve essere uno che nella zona si presenta come persona affidabile. Lo immagino quindi ingaggiato dal capo-spedizione appena arrivato che si mette a capo (ben pagato!) della carovana di barche per guidarle lungo un percorso da lui scelto, con la sicurezza dell’esperto. Anzi! Dagli storici del tempo sappiamo (ma si fa così ancor oggi in tutto il mondo) che i locali, una volta fattisi abbordare, danno informazioni sbagliate agli stranieri troppo curiosi in viaggio nelle loro terre per sviarli e tenerli lontani dai propri villaggi nascosti nel fitto della foresta. Da questo lavoro abbastanza generico degli svedesi residenti sulle rive baltiche meridionali fra guidare e sperticare, i Finni hanno poi dato loro il nome Ruotsi alla Svezia derivando la parola da rodd (norr. roθ) che ancora oggi in svedese indica lo sperticare mentre nessuna denominazione “etnica” del tipo Varjag è rimasta!Vediamo allora come si organizzano nell’avventura e Varjag, una volta accettata in uso, indica un giovane scapolo preso a contratto a tempo determinato! A capo del suo gruppo c’è uno più anziano di tutti che comanda e organizza, che sa dove andare e che cosa fare, che ha raccolto notizie e informazioni su un certo luogo dove si trova un certo bottino. Particolari sull’intrapresa? Nessuno! I dettagli non vengono mai svelati dal capo! Ci si impadronirà della ricchezza che si troverà e, lui assicura, farà tornare tutti ricchi a casa. Quali sono i requisiti per la scelta dei partecipanti? Innanzitutto bisogna essere prestanti, saper maneggiare le armi e cioè spada e ascia di guerra e saper remare oltre che ingegnarsi a lavorare legno e ferro quando occorra, cucinare e cucire vele etc. perché qui si fa insieme tutto senza alcun aiuto esterno. E, se ci sarà da battersi, ci si batterà fino alla morte. Prima occorre però prestare giuramento e accettare la vara ossia i vincoli del contratto nelle mani del capo-spedizione. A questo scopo è indispensabile la consultazione con una vitka/visendakona che prima di lasciar partire l’equipaggio per una notte intera rimarrà nella selva a consultarsi con gli dèi. Se gli auspici sono favorevoli, ci sarà una cerimonia conviviale con la festa del bere o Sumbl in cui si preparerà il cibo e si mangerà e con una solenne bevuta, com’è costume qui nel nord, si concluderà fiduciosi. A questo punto il patto è sancito e chiuso e, non appena il mare sarà libero dai ghiacci, si salpa! A proposito! Nel gruppo non sono ammesse donne, salvo talvolta quella del capo!Aggiungo che non so con certezza se i Varjaghi ricorressero nel modo di combattere, come facevano i loro congeneri Vichinghi usando l’Amanita muscaria per eccitarsi e se andavano nudi nel cosiddetto berserkr coperti soltanto da una pelle d’orso. La parola composita ber cioè orso+ serkr cioè camicia li svela nel loro comportamento selvaggio o in altri termini i Vichinghi emulavano un modello già consacrato…Anche gli svedesi avevano in mente un modello analogo, forse in qualche aspetto diverso a causa del diverso ecosistema baltico, ma giungerà il momento di abbandonare il vecchio pseudo-etnonimo varjaghi e passare a un altro pseudo-etnonimo peculiare per il Medioevo Russo cioè rus.Nel IX sec. quando l’avventura varjaga è documentata meglio la situazione “politica” delle coste baltiche dipendeva dalle “voglie” dei Vendi (in questo etnonimo ho conglobato gli slavi presenti nel bacino dell’Elba e della Vistola) attestati a nord lungo la costa ad est da Lubecca fino alla Curlandia, nello spazio lasciato dalle migrazioni germaniche e ugro-finniche verso sud. I Vendi avevano un santuario nazionale ad Arkona nell’isola di Rügen e difendevano le loro terre dagli intrusi con le armi e le imboscate fino al XII-XIII sec.! Arenarsi perciò sulle loro spiagge era molto pericoloso perché si correva il rischio, mentre si facevano i tentativi di rimettere la propria barca in mare, di essere improvvisamente circondati. Solitamente nascosti fra gli alberi fitti presenti, i Vendi spogliavano di tutto letteralmente i malcapitati oltre a trattenerli prigionieri per venderli schiavi! Anzi! A parte l’affidabilità storica di Saxo Grammaticus non molto buona su questi argomenti, l’ecclesiastico danese del XII sec. d. C. ci riferisce che una spedizione approdata sulle coste baltiche meridionali fu impedita a proseguire perché i Vendi avevano sparso l’approdo con dei chiodi a quattro punte che impedivano il camminare, se non indossando delle spesse scarpe di legno! Dunque le coste vendiche non sono ospitali e senza sostare si dovrà proseguire oltre verso est. In quei secoli a causa delle precarie comunicazioni era impossibile organizzare un grande numero di persone per trasbordarle da una centrale di operazioni all’altra in un territorio in azioni coordinate di conquista, occupazione o altra simile e si ricorreva alla creazione di modelli di gruppo coeso e stereotipato per numero di membri e maniere d’agire che potessero operare indipendentemente l’uno dall’altro per ottenere un esito previsto comune. In tal modo chi riproduceva quel modello standardizzato aveva diritto ad attribuire al suo gruppo e a se stesso il nome-totem del modello e agire in definitiva per conto proprio. Tali modelli bastava tramandarli da generazione in generazione purché rispondessero comunque ai riti e alle regole che le locali sacerdotesse benedivano e approvavano. Noi moderni in Italia abbiamo un nome specifico per tale tipo di organizzazione, malavitosa o no: mafia! Di qui l’ipotesi di Mafia dei Rus che diventa un sistema statale per san Vladimiro quando coi suoi accoliti si impadronisce di Kiev e ne fa la centrale del potere.Le CTP raccontano che alle prime apparizioni i Varjaghi si imponessero come predoni duri e sfruttatori avidi spesso assoggettando i locali con un pesante tributo permanente. Col passar del tempo la gente si ribellò, ricacciandoli in mare più volte. Ed ecco venir fuori l’esasperata leggenda (riferita o inventata da Tatišev, storico russo del ‘700) che denuncia: A causa di litigi continui fra i locali intorno alla prima metà del IX sec. con gli Slavi in testa ci si recò a Gotland e si invitò Rjurik a governare le Terre Russe. Nella leggenda l’unico punto notevole, seppure estremamente ovvio, è che i rus erano svedesi e che si mossero da Gotland. Le navi che i Varjaghi armano, l’ho già detto, non sono grandi ed ogni equipaggio non supera le 20-30 persone (anche questo è nelle CTP) ed ha una vela e dei remi. Hanno prora doppia come il knørr vichingo in modo da non doverle manovrare quando si inverte il senso di navigazione dopo un approdo, non avendo peraltro un timone fisso. Addirittura, dopo la traversata via mare e prima di addentrarsi nelle correnti fluviali, le si lasciavano a secco in un posto sicuro per il ritorno, proprio perché imbarcazioni adeguate al traffico fluviale bisognava procurarsele o nel caso farsene fabbricare presso i locali.Se una banda sul mare si può affidare ad una guida esperta che sia già a bordo, magari si passa fra le isole (oggi) estoni (Saare- e Hiu-maa, soprattutto) che chiudono a nord col cosiddetto Stretto di Irbes l’enorme “lago-mare” cioè il Golfo di Riga e purché si sia superato l’altro stretto dove ci sono i Vendi (l’odierna Ventspils, in lettone Città dei Vendi!). In caso contrario si terranno le isole a tribordo e si giungerà alla foce del Narva (fiume non lontano da Tallinn) che non è molto bene in vista dal mare, ma è l’unico accesso verso il lago Peipus (per i russi “dei Ciudi” e “di Pskov”) e alla stazione-città di Pskov (anticamente Pleskov). Né risulta che questa sia una rotta molto battuta perché di solito si preferisce procedere oltre per entrare nella foce del Nevà! Il Golfo di Finlandia è parte dell’estuario molto largo di questo fiume, la cui corrente non è molto forte poiché il dislivello col lago Nevo, di cui la Nevà è l’emissario nel Mar Baltico, è di ca. 5 m su un gradiente lungo una settantina di km! Oggi il lago si chiama Ladoga e il Nevà ha spostato il suo letto più a sud, mentre per quasi l’intera durata del Medioevo Russo bagnava un’area diversa dall’odierna e ciò rende il riscontro storico-geografico più complicato. Sia come sia, all’epoca mantenendosi più o meno al centro della corrente che non ha meandri e pochi affluenti facilmente distinguibili fra i fitti canneti, si evitavano gli agguati in primo luogo, benché la densità abitativa di questa area detta Ingria (in norreno Ingermanland e Ižora in russo, oggi provincia di San Pietroburgo) fosse bassissima in n luogo che allora costituiva una grande palude. Entrati nel lago, c’è una specie di penisola abbastanza elevata davanti alla foce del fiume Volhov. Perché ci si ferma qui? Poiché dopo aver doppiato questa penisola si sono scorti i fili di fumo che salgono dalle case del villaggio su palafitte dei Finni locali sulla riva destra del fiume. I Varjaghi sulla riva sinistra, non fidandosi di approdare, fanno sosta a Ladoga, una postazione eletta a base logistica. Oggi qui c’è una fortezza costruita in mattoni nel XVI sec. che porta il nome di Ladoga la Vecchia (Stàraja Làdoga) e dovrebbe trovarsi prossima alle rovine della vecchia base varjaga. Le tracce di Aldeigija (norreno per Làdoga) sono più tarde comunque di quelle del villaggio finnico di fronte sull’altra riva a conferma che i Finni erano presenti lì prima dell’arrivo degli Svedesi, ma non erano bellicosi. Anzi! L’archeologia ci dice che i due gruppi etnici vivessero rigidamente separati per un bel pezzo e che Ladoga, visto che non si sono trovate prove di un consumo di alimentari né di conflittualità permanente, era abitata stagionalmente e non tutto l’anno. A questo punto occorre decidere il da farsi perché il tempo stringe e, se si deve proseguire per il sud, sarà meglio affrettarsi, prima che il duro inverno ostacoli il cammino. Si tenga presente che le visite delle bande varjaghe rispettavano delle date precise per non incappare nel ghiaccio invernale o nella fanghiglia primaverile delle piste forestali e sugli spartiacque. Se si partiva entro un certo giorno dalla costa svedese e si prevedeva di tornare entro talaltro giorno per non rimanere bloccati dai capricci della stagione e si può pensare che più o meno il periodo rispettato era lo stesso del calendario marittimo dell’Hansa, ammesso che non ci siano stati mutamenti notevolissimi del clima fra il IX e il XV sec. d.C. quando si chiudevano i traffici fra G. Novgorod e Lubecca a San Martino (11 novembre). Attenzione però! Quanto io scrivo può dare adito a credere che il mar Baltico, non appena la navigazione era possibile e agevole, fosse solcato da knørrar armati di tutto punto a far la spola fra le coste svedesi e le coste meridionali baltiche. Non è così! Le situazioni e le circostanze descritte fin qui non prevedono bande varjaghe composte da molte persone che vanno e vengono dai luoghi qui nominati in continuazione. Basti soltanto pensare quanto fosse difficile già ingaggiare 40-50 giovani e far lasciare i villaggi per partire con entusiasmo e forse non tornare chissà mai più. La densità demografica nel 800-1100 d.C. era bassa e l’agricoltura precaria e sottrarre una decina di braccia dal lavoro dei campi voleva dire destinare un villaggio alla fame, se non c’era una compensazione sufficiente per la sussistenza di genitori, fratelli e sorelle minori. Se poi si pensa che una navigazione di qualche giorno implicava per un equipaggio cibo e acqua come carico passivo oltre a armi e etc., è logico vedere sulle onde del mare barche non grandi che trasportano merci e mercanti, invece di guerrieri impavidi. Ciò premesso, continuo l’escursione geografica dicendo che G. Novgorod si trova a nord della sponda del lago Ilmen all’uscita dell’unico emissario, il fiume Volhov appunto, che sbocca nel Lago Nevo dopo ca. 200 km. E qual è il legame fra G. Novgorod, la più antica repubblica medievale europea, e i Varjaghi? Secondo i reperti archeologici i Varjaghi apparvero da queste parti più o meno intorno all’VIII sec. d.C. ossia alla stessa epoca della base logistica di Ladoga. S’insediarono nella Cittadella di Rjurik (Rjurìkovo Gorodìšče, toponimo tardivo e di significato spurio) sulla sponda alquanto elevata del lago a soli 3 km dall’odierna città e sulla foce del Msta, affluente di destra del Volhov che collega ai traffici dei Bulgari del Volga. Ma a chi serve la Cittadella di Rjurik sulla riva destra del fiume e su un’elevazione del terreno (le saghe la ricordano come Holmgård)? È una vedetta sulla foce del Msta per controllare l’arrivo dei mercanti dal sud? Può darsi, ma non solo! Da questa posizione si controlla il disgelo a primavera (maggio-giugno) della massa di ghiaccio invernale che copriva l’Ilmen e si può così prevedere se la minaccia di improvvise inondazioni a valle avrebbero luogo e in qual misura! I Finni informano che non molto vicino nel nordest c’è un altro lago, Lago Bianco (Belo Ozero), ottimo posto di mercato dove trovare roba ad alto valore aggiunto, quali le pellicce richiestissime di zibellino o di candido ermellino che i locali cacciano d’inverno in gran numero. Qui arrivano i Bulgari e dopo aver fatto affari proseguono per il lago Onego più a nord e sul fiume Svir entrano nel lago Nevo. Fanno capo a Ladoga sul Volhov dove si formano i convogli diretti per mare a Birka e chiudono il cerchio “baltico del commercio”.I varjaghi intanto sognano il sud e occorre risalire il fiume Volhov dalla foce fino all’Ilmen. Dal lago in seguito, affrontando le paludi sulle sponde ovest dove oggi c’è Russa, si è a due passi dalle sorgenti del Volga, del Dnepr e del Don oltre che della Dvinà-Daugava e quindi a monte del Golfo di Riga! Purtroppo la corrente in questo periodo storico (IX sec.) era in magra da anni e il Volhov presentava delle rapide pericolose fra cui l’ultima poco prima della foce. Procuratisi perciò una barca senza chiglia (strugi o paromy o natanti simili) agevole ada trascinare sul terreno delle rive con l’aiuto eventuale del tiro dei cavallini locali e dei rulli di legno, tutto si fa accordandosi coi Finni locali (le CTP li chiamano Ciudi e Vesi). Non è plausibile che i Varjaghi ricorrano all’assalto o alla distruzione dei loro villaggi, come spinge a credere la Leggenda di Rjurik, giacché se agissero così, ricaverebbero bottino la prima volta, ma poi la fama si diffonderebbe e i locali sparirebbero creando circostanze talmente catastrofiche da abbandonare l’avventura della Pianura Russa per sempre. Andare verso sud… ma per far che cosa?Certamente il traffico commerciale della Pianura Russa non era cosa nuova nel mar Baltico giacché già Tacito ne parla a proposito dell’ambra e dell’avorio, quest’ultimo sia fossile dai mammut sotto il ghiaccio sia dai trichechi dell’Artico. Inoltre le informazioni che qui si raccoglievano, dicevano che mete come Costantinopoli o Baghdad erano lontane e recarvisi costava moltissimo persino per un mercante che avesse merce di qualità da scambiare e credenziali di locali altolocati, per tacere dell’itinerario lungo e irto di punti daziari in mano a genti nomadi genericamente diffidenti con gli estranei.Saxo Grammaticus (XII-XIII sec.) nella sua raccolta di saghe scandinave descrive imprese favolose raccontate dai varjaghi tornati in patria, ma non sono imprese da considerare comuni e ad ogni buon conto le ricchezze sono molto più a sud delle rive del mar Baltico! A questo punto è importante avere un’idea, seppur generica, di come i commerci funzionavano nella Pianura Russa lungo le sue vie d’acqua in quanto i Varjaghi quando si ingaggiavano in servigi di scorta erano pagati “in natura” e pertanto si davano da fare per cambiare la ricompensa ricevuta in natura in oggetti preziosi e non ingombranti da portare con sé al ritorno in patria, trasformandosi a loro volta in mercanti. Le monete ovvero i dirhem circolavano, ma erano ritenuti ornamenti e per di più femminili!Che intendo per postazione, mercato, posto di scambio nell’ambito culturale del Nordest europeo?Una postazione (veža) è un luogo a quota elevata da cui si riesce con lo sguardo a dominare una porzione del territorio circostante. Tipica postazione era Kiev prima di diventare la capitale di uno stato. Situata sullo sperone situato nella confluenza del Pripjat col Dnepr e qualche altro affluente minore, fondata dai Cazari e mantenuta dai Bulgari, Kiev ospitava, ca. 800 d.C., bande varjaghe in servizio di vedetta, in attesa di transitare per Costantinopoli per un ingaggio nel corpo della Guardia Imperiale o altra “fatica” equivalente.Un mercato (torg) è uno spazio ben delimitato con sue regole e obbligazioni. Non è accessibile a chiunque, ma solo alle persone qualificate che non espongono le loro merci, ma fanno affari sulla parola. La consegna avviene di solito altrove.Un posto di scambio deve rispondere a 3 requisiti almeno: 1. offrire accoglienza con servizi di sussistenza a medio termine e 2. le merci da scambiare sono a vista e 3. lo scambio è legittimo solo fra i proprietari delle merci e, una volta fatto, non è rinegoziabile. Solitamente il posto di scambio era molto particolare e come raggiungerlo era un segreto che i mercanti più scaltri non svelavano volentieri ai concorrenti…. Assodato ciò, le CTP e altri autori informano che i Finni raccoglievano gli animali da pelliccia con trappole apposite affinché il pregiatissimo pelo non si rovinasse e con esse facevano scambio contro derrate alimentari presumibilmente dalle coltivazioni più meridionali degli Slavi con il famoso metodo del “commercio muto”. Altri articoli erano il miele e la cera raccolti invece nelle foreste più fitte. Per quanto riguarda gli schiavi, altro articolo commerciale importante per i quali la Pianura Russa diventò notissima nei paesi musulmani, sappiamo in particolare poco sebbene è lecito immaginare che le famiglie che vivevano di limitate risorse non esitavano a cedere i propri figli (bocche in più!) ai mediatori in previsione di una vita migliore all’estero come schiavi. Ebbene queste “merci” (insieme con altre che qui tralascio di menzionare) venivano ben “impacchettate e stipate” sulle imbarcazioni e il valore loro era altissimo, se si richiedeva una scorta armata lungo il tragitto. Un luogo di riposo erano i posti di passaggio da una corrente all’altra (vòloki) dove, se c’era tempo, ci si rifocillava prima di ripartire. Detto questo, quando la frequentazione varjaga in queste zone si fece preoccupante per le società slave più organizzate come forse quella di Kiev, deve esser successo che, non appena saputo della “nuova via” aperta lungo la direttiva nord-sud, l’élite kieviana al potere mandasse immediatamente gruppi di slavi (Slaveni/Sloveni) a colonizzare massicciamente la zona di G. Novgorod per metterla sotto controllo (sec. X sec.)! Questi ultimi colonizzatori si arrestarono dapprima sulla riva meridionale del lago Ilmen dove (è una mia speculazione) lo prova la presenza della cittadina che porta il nome di Russa (oggi Stàraja Russa), ma poi si affacciarono sulle sponde settentrionali del lago… senza però proseguire fino a Ladoga. La presenza slava a Russa è spiegabile col motivo già individuato due secoli fa dallo storico S. Solovjòv e cioè che gli Slavi da contadini quali erano non si spinsero oltre perché il clima non favoriva le loro coltivazioni tradizionali. Forse per ragioni di sicurezza o a causa del regime variabile del lago che a volte invadeva i terreni sulle sponde si passò di qui sulle sponde settentrionali e, insieme con gli alleati baltici in via di slavizzazione, ossia Krivici e Dregovici, elevarono sulla riva opposta alla Riva del Mercato un santuario al dio balto-slavo Peryn (Perun, dio della tempesta conosciuto anche a Kiev) eleggendo il luogo a loro sede permanente di fronte a quella dei Variaghi di Rjurikovo Gorodišče. Finalmente ca. X sec. d.C. si disegna la nuova città cioè Novgorod (è il significato del russo toponimo) come l’insieme di tre centri vicini fra loro: Uno slavo su una gobba del terreno, un altro finnico adiacente a un piccolo affluente del Volhov e un terzo sulla riva opposta alla Riva del Mercato che in seguito diventò nota come Riva di Santa Sofia abitata perciò in prevalenza dai balto-slavi, pur sempre d’accordo con l’altra riva a mantenere separati dal resto della città i visitatori variaghi stagionali. Più o meno questa è la ripartizione etnica che si legge nella toponomastica dei cantoni cittadini (konec sing. e koncý plur.). A partire da quanto scritto finora non si vedono che due possibilità per le bande variaghe che bazzicano da queste parti: Impiegarsi come scorta con ingaggio stagionale per i convogli che partono per il sud o autonomamente rifornirsi di merci e dirigersi da mercanti sulla stessa rotta. Per quest’ultima ipotesi ancora una volta ciò significa o scambiare quello che si ha oppure depredare con la forza quello che non si ha! La seconda soluzione potrebbe essere applicata più facilmente visto che i Variaghi sono superiori militarmente, ma è anche senza sbocco perché con le merci in mano poi bisognerà contattare per forza gli intermediari che gestiscono i traffici e questi non si possono sottoporre a costrizioni, se si vogliono realizzare dei guadagni sicuri. Rivediamo ora gli itinerari e la logicità della loro continuata esistenza. Il primo che restò in funzione per moltissimo tempo (fino al XVI sec.) è quello lungo la Dvinà di Polozk e poi via Smolensk fino a Kiev. Polozk dei Krivici e dei Polociani, era una città attestata molto all’interno rispetto alla foce del fiume che sbocca dove oggi si trova Riga e ciò si spiega con motivi sia ecologici sia di spazi disponibili per la coltivazione. Infatti le genti slave in migrazione avevano dovuto fermarsi poiché la zona era occupata da popoli a loro affini: i Baltoslavi (da cui scaturiranno Lituania e Lettonia). Nell’archeologia locale non troviamo tracce clamorose di conflittualità e possiamo pensare che queste genti riuscissero a convivere e a mescolarsi senza troppo litigare. La presenza variago-svedese lungo la Dvinà è più antica di Novgorod, ma non sembra imposta con la forza benché Polozk (Polotesk) dai reperti archeologici risulti spostata nel X sec. rispetto ad un centro originario anteriore andato a fuoco. Da Polozk si risale a monte del fiume Dvinà fino all’altezza del lago di Lepel’. Dopo aver percorso un breve volok (spartiacque dove appunto le imbarcazioni venivano tirate a secco e trascinate da una corrente all’altra sui rulli di legno, come abbiamo accennato prima), si entra a Borisov dove c’era una famosa pietra morenica – valun – che indicava la strada al traversante. Ormai si è sulla Berezinà, l’affluente del Dnepr, che scorre non molto lontano da Kiev e la pietra è stata spostata dal suo luogo naturale. Dalla croce e da una benedizione scalpellate sul masso si deduce anche la datazione di fondazione probabile di Polozk. L’altro itinerario a monte della Narva (o Néreva) segue il breve tratto di questo emissario fino al lago Peipus. Si entra nel lago attraversando un primo bacino, poi un secondo più piccolo e inframmezzato da isole ed infine si prosegue per il terzo chiamato più propriamente lago di Pskov. Di qui si entra sulla corrente del fiume Grande (Velikaja) e si risale fino ad un volok che separa quel fiume dalla Dvinà.Ancora un itinerario parte dalla zona di G. Novgorod, attraversa il lago Ilmen’ dirigendosi verso sudovest e entra in uno degli immissari del lago, la Lovat’ e risale fino a Holm. Qui c’è il volok che separa questa stazione da Toropec sulla Dvinà per proseguire fino a Vitebsk. Di lì sul volok si passa ad Orša e si è già sul Dnepr. Questa rotta è quella che le Cronache Russe chiamano la Via dai Variaghi ai Greci che però è nominata pochissime volte rispetto a quella che seguiva il Volga e il Don. Questo itinerario infatti è lungo il Dnepr e rimase in auge finché Costantinopoli costituì il maggior mercato compratore delle merci kievane, ma poi decadde. Dapprima a causa della conquista della capitale dell’Impero Romano d’Oriente da parte dei Crociati nel 1204 e poi per le conquiste dei Tatari (Mongoli) nella steppa ucraina verso la metà del sec. XIII. Ed infine c’è un’altra rotta per il sud detta la “Via dei Figli di Sem” (perché diretta verso l’Impero Cazaro ebraico) che è la più importante storicamente dato che qui si svolsero le vicende più sofferte di tutta la storia russa. Si parte sempre dal Lago Ilmen’ e, percorrendo la Lovat’ e deviando prima di Vitebsk lungo il fiume Kasplija, ci si porta a Smolensk, si risale il Dnepr, che qui è ancora un fiume giovane perché vicinissimo alle sorgenti, e si giunge a Dorogobuž e dopo aver superato il volok con l’Ugrà si è già quasi sull’Okà che confluisce nel Volga alcuni chilometri più avanti davanti a Bulgar-sul-Volga.Tutta questa rete (abbiamo tralasciato naturalmente altri itinerari percorsi in caso di guerre locali o di altri problemi) oggi per chi voglia visitare i siti archeologici relativi ai toponimi da me nominati è percorribile in treno. A parte ciò, nel passato la rete doveva essere tenuta libera da impedimenti ed è proprio questo il motivo per cui il mitico knjaz (russo per principe, capo et sim.) variago Oleg scendendo verso Kiev fonda (e fa fondare) lungo queste rotte altri nodi “di servizio” dove i convogli sostano per riposare, per mangiare, per riparare arnesi e barche o per agganciarsi ad altri gruppi prima di proseguire. Questi nodi vanno difesi… Da chi e contro chi?Come ho già scritto, i Variaghi avevano imposto (con la forza) un tributo alle genti locali del Volhov e questo regime era diventato talmente esoso che tutti si erano ribellati e avevano ricacciato i Variaghi nel Baltico come conferma indirettamente l’archeologia. Se non erano eventi episodici, si rinunciava a fare i pirati “alla vichinga” e ci si adeguava all’ambiente collaborando coi capi locali! E chi erano questi capi locali? Dalle notizie che abbiamo, nel sud l’élite al potere a Kiev non è slava. Altri insediamenti nel nord non sono dominati da dinastie slave: Polozk, Turov, Pskov, Russa etc. e lo saranno ancora intorno al X-XI sec. sotto l’egida di Kiev finché la chiesa cristiana non le slavizzerà.Insomma non c’è scelta per i Variaghi! Occorre trovare un modus vivendi reciprocamente vantaggioso, giusto con gli Slavi e con i loro alleati seppure alloglotti. Nel Nord gli Slavi in ogni caso formavano la classe dominante insieme coi capetti finnici e con un’organizzazione societaria abbastanza avanzata, seppur contadina. Si sono anche accorti che non è facile liberarsi da una banda variaga giacché a quella ne segue subito un’altra. Tornando perciò alla favola non credibile dell’invito alla Banda di Rjurik affinché prendesse le redini del comando come “terzo membro (militare)” nell’impresa commerciale slavo-finnica, vediamo che quella banda Tatišev la presentò allora non come sfruttatrice, ma come la difesa ultima dagli attacchi di altre bande che eventualmente capitassero da queste parti! Fu l’unica legittimazione possibile del ruolo di Rjurik e dei suoi due fratelli e la loro ricompensa sembrava adeguata: egemonia militare per lo sfruttamento del territorio garantita dalla lega capetti slavi, finnici e baltici. La Banda di Rjurik dunque diventava una vera e propria organizzazione poliziesca privata del Medioevo Russo: Né più né meno come si presenta la mafia siciliana a chiedere il pizzo! A Polozk, secondo lo storico del XIX sec. Belaev, c’era già la banda di un certo variago Kvillan imposto da G. Novgorod che poi passerà il potere ad un altro variago a nome Ragnvald (in russo Rogvolod) nominato dalle CTP. C’era anche Turov dove dominava il variago Tur (ossia Thor) e, come avverte la Vita di Santa Olga, persino a Pleskov (oggi Pskov) c’erano i Variaghi, stavolta integrati ai balto-slavi locali. Il biologo australiano J. Diamond ha chiamato un sistema di dominio basato sull’alienazione forzata dei beni altrui da parte di un’élite armata cleptocrazia e ciò corrisponde, secondo me, a quella che conosciamo oggi in Europa come beni della mafia. Ora devo però chiedermi: Come mai questa mafia varjaga perde la sua identità etnico-culturale svedese? E quale realtà nasce sotto il nome di Rus’? Dare una risposta alla prima domanda è forse più semplice, vista la lunga (di secoli, ormai) polemica sull’origine del termine Rus’ dove non voglio entrare qui. Secondo me e come ho scritto righe fa, le bande della mafia varjaga sono costituite da ragazzi scapoli e incolti, quasi disperati reietti della loro società d’origine. Un po’ alla volta cominciano a familiarizzare con le leghe interetniche locali, dominate nel numero dagli slavi, e si trovano accolti in un consesso che ha un senso orgoglioso della propria identità rinnovantesi ad ogni occasione, benché in via di assimilazione attraverso matrimoni in famiglie miste con i confinanti allogeni. Dal punto di vista culturale, malgrado le regole solite del matrimonio esogamico praticato dagli Slavi che prevedevano la “morte” culturale della donna e non dell’uomo, i varjaghi non avendo altro da offrire che la loro abilità a predare o la loro prestanza fisica non possono alla fin fine che slavizzarsi! E che nome darsi poi una volta penetrati nella nuova élite al potere? Uno tutto nuovo che magari li identifica meglio di altri o forse inventato lì per lì o ancora affibbiato loro da altri! Non si può dire con sicurezza a quale parola originaria risalga la parola Rus’ e non voglo entrare in polemiche oziose su normannismo e antinormannismo, ma accenno solo all’ipotesi che si collega alla tesi “mafiosa”. È probabile che Rus’ fosse un nomignolo dato agli scandinavi al loro primo apparire dai Cazari (in ebraico una parola simile significa capetto e un Roš è nominato nella Bibbia a capo dei popoli di Gog e Magog)!La discussione è basata su ricerche fatte da vari autori che solo a volte ho nominato nel testo perché altrimenti sarebbe stato un campo di battaglia di note e noticine, rimandi e inserzioni che avrebbero distratto il lettore dal fil rouge da me seguito. Nella bibliografia perciò, chi volesse approfondire, troverà i lavori che ho consultato dove ci sono le analisi filologiche, storiche e archeologiche che mi hanno aiutato più di altre.

@Aldo C.Marturano

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