QUANDO I BANCHIERI SQUALI (fiorentini) INCAPPARONO NEI BANCHIERI ORCA (veneziani) @fabiogaraventa

Avvocato Fabio Garaventa, responsabile per la giustizia del Partito Repubblicano Italiano e membro della Direzione Nazionale
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“Venezia costituì il più grande successo commerciale del Medio Evo – una città senza industrie, con la sola eccezione delle costruzioni navali militari, giunse a dominare il mondo mediterraneo e controllare un impero semplicemente attraverso le imprese commerciali. Nel XIV secolo giunse al periodo di successo e potenza massimi”, scrive Braudel.Frederick Lane aggiunge: “I patrizi veneziani si curavano meno dei profitti provenienti dalle industrie rispetto a quelli derivanti dal commercio tra regioni in cui vigevano valutazioni diverse dell’oro e dell’argento”.Tra il 1250 ed il 1350 i finanzieri veneziani misero in piedi una struttura di speculazione mondiale sulle monete e sui metalli preziosi che richiama per certi aspetti l’immensa speculazione odierna degli “strumenti derivati”. Le dimensioni di questo fenomeno erano tali da contenere e condizionare la più modesta speculazione sul debito, sulle merci e sul commercio delle casate bancarie fiorentine. I veneziani stabilirono il loro controllo monopolistico sull’emissione e sulla circolazione della moneta dei monarchi dell’epoca.Le banche veneziane potevano apparire ingannevolmente trascurabili rispetto a quelle fiorentine, ma in realtà disponevano di maggiori risorse. Il vantaggio stava nel fatto che l’impero veneziano agiva come un organismo unico, perseguendo i propri interessi con mezzi non solo bancari, ma anche commerciali, diplomatici e spionistici. In questo periodo, il commercio veneziano su lunga distanza avveniva attraverso le “mude di stato”, convogli navali ben scortati, dove tutto era deciso dagli organi dello stato, e dove ai mercanti veniva concessa facoltà di appalto. Lo stato centralizzava inoltre le attività di diverse zecche ed i traffici in metalli preziosi.Federick Lane presenta una documentazione secondo la quale non più tardi del 1310 questo dei preziosi e della moneta era l’interesse principale dei traffici veneziani. Dietro agli speculatori c’erano naturalmente le grandi garanzie di consorzi finanziari e protezioni politiche, come avviene oggi con individui alla George Soros, le cui fortune immense sembrano spuntare improvvisamente dal nulla.Ogni anno partiva da Venezia la “muda dei lingotti” composta da venti-trenta galere, armate e scortate senza badare a spese, che navigava alla volta del Mediterraneo Orientale oppure dell’Egitto. Cariche principalmente di argento, le navi facevano ritorno a Venezia cariche di oro sotto ogni forma, monete di tutti i tipi, lingotti, barre, lamine ecc. I profitti di questo commercio erano di gran lunga superiori a quelli degli usurai in Europa, sebbene i Veneziani non si trattenessero dal fare profitti anche su quel fronte.Dai documenti pervenutici risulta che i finanzieri veneziani prescrivevano ai propri agenti a bordo delle mude di trarre da questi scambi di argento e oro un profitto minimo dell’ 8% per ogni sei mesi di viaggio, il che significa un profitto annuo minimo del 16% e probabilmente medio del 20%.Un importante documento che dà un’idea dello spirito “imprenditoriale” veneziano risale al 1423, quando il Doge Tommaso Mocenigo tenne un famoso discorso alla Serenissima Signoria per illustrare l’arricchimento favoloso di Venezia.Disse che l’esportazione aveva raggiunto i 10 milioni di ducati l’anno, attraverso la flotta commerciale. I profitti delle esportazioni ammontavano a 2 milioni di ducati, altrettanto quelli delle importazioni, per cui si può calcolare un profitto annuo del 40%, considerati i due viaggi annui delle grandi mude. La zecca veneziana coniava ogni anno 1.200.000 ducati d’oro e 800.000 ducati d’argento, di cui 20 mila andavano annualmente in Egitto ed in Siria, 100 mila sul territorio italiano, altri 50 mila oltremare e ancora altri 100 mila in Inghilterra ed altrettanto in Francia. Il vecchio doge concluse affermando che presto i veneziani sarebbero stati “signori de l’oro de christiani”, mentre c’è anche la lezione che recita “signori de l’oro e de christiani”.Frutto della libera impresa? Certamente no. Questo “successo” criminale è il risultato dell’“usura come religione di stato”. Dalla metà del Duecento l’oro orientale veniva saccheggiato dai Mongoli in Cina, che fino ad allora aveva posseduto l’economia più ricca del mondo, ed in India, oppure veniva estratto nelle miniere del Sudan e del Mali in Africa e venduto ai mercanti veneziani in cambio di argento europeo enormemente sopravvalutato. L’argento proveniva dalla Germania, dalla Boemia e dall’Ungheria, ma veniva sostanzialmente venduto tutto ai veneziani che pagavano in oro.Coniazioni che non erano veneziane cominciarono a sparire, prima dall’impero bizantino, nel XII secolo, poi nei dominii mongoli ed infine in Europa nel XIV secolo.I Mongoli sostituirono la circolazione aurea nei territori conquistati in Cina ed in India con monete d’argento e cartamoneta. Gli scambi con i veneziani avvenivano a Tabriz e Trebisonda, città commerciali persiane cadute sotto i mongoli, e nella città portuale di Tana nel Mar nero. Qui l’oro veniva scambiato con l’argento proveniente dall’Europa. Complementare al traffico monetario era la tratta degli schiavi. L’argento era sottoforma di sommi veneziani, dei piccoli lingotti che “erano il mezzo comune di scambio in tutti i kanati mongoli e tartari… La richiesta di argento dall’estremo oriente era in continuo aumento”, scrive Lane. “I veneziani erano in grado di spingere al rialzo il prezzo dell’argento sebbene ve ne fossero quantità enormi” che arrivavano a Venezia dall’Europa.Il sistema di alleanze messo a punto dai veneziani comprendeva non solo i crociati, le città guelfe nere e gli angioini, ma spesso anche il papato, tanto che i Mongoli signori della Persia giunsero ad avanzare ai re ed ai papi europei proposte di crociate congiunte. Grazie al diritto esclusivo di commerciare con i Mamelucchi d’Egitto concessole da Papa Giovanni XXII, Venezia stabilì il suo monopolio sullo scambio di argento sopravvalutato e di schiavi forniti dai mongoli in cambio dell’oro del Sudan e del Malì.“Derivati”Alla fine del XIII e XIV secolo, Venezia gestiva tutta la coniazione e gestiva i cambi monetari del più grande impero della storia, quello mongolo, allo scopo di saccheggiare e distruggere le popolazioni sottomesse. Venezia aveva esteso il proprio controllo sul resto del commercio e della coniazione di ciò che restava dell’impero bizantino e dei sultanati mamelucchi nell’Africa Settentrionale. In questo stesso periodo Venezia trasformò la circolazione monetaria in tutto l’oriente, da monete in oro a monete d’argento, e di contro trasformò la circolazione monetaria in Europa e Bisanzio, dove la base monetaria d’argento fu sostituita dalla base aurea.Mercanti e finanzieri veneziani potevano contare su profitti fino al 40% annui su investimenti a breve (semestrali), e questo su una base economica mondiale dove il profitto reale, ovvero il “surplus” produttivo, nei casi migliori si aggirava tra il 3 ed il 4%. Le operazioni bancarie dei Guelfi Neri, dei banchieri fiorentini, rappresentavano un aspetto, un’articolazione delle manipolazioni finanziarie veneziane, e davano tassi di profitto che pur non raggiungendo i record veneziani, erano abbastanza alti da erodere notevolmente la base produttiva reale, accentuando la depressione.In questo processo di rapida speculazione, Venezia “estese il proprio controllo sulle economie circostanti, compresa quella tedesca”, dove si concentrava la produzione di argento, del ferro e dei suoi manufatti. Negli anni successivi al 1320 i mercanti veneziani non si recavano più in Germania, ma i tedeschi furono costretti ad aprire le loro succursali a Venezia, nel “Fondego de’ Tedeschi”. A Rialto si effettuavano transazioni bancarie senza valuta, si concedevano crediti in conto corrente, si stipulavano contratti di credito, si creava quindi “denaro bancario” su cui speculare. Non si trattò di una raffinata innovazione nel mondo bancario, ma più semplicemente del controllo sulla speculazione mondiale: essi avevano il controllo sulle riserve.In effetti, le famose “lettere cambiali” dei banchieri fiorentini erano soltanto una forma molto grezza dei “contratti derivati” che si sono diffusi come un cancro nell’economia mondiale sullo scorcio del XX secolo. I banchieri fiorentini imponevano di fatto una tangente a chiunque esercitasse il commercio in quanto, date le numerose monete esistenti che stati e città mettevano in circolazione nella propria giurisdizione, i commercianti erano continuamente costretti ad effettuare cambi presso quelle banche. Questa taglia sul commercio, che passa sotto il nome di “lettera cambiale” (presentata come l’innovazione creativa dell’epoca), diventò poi sempre più gravosa perché doveva coprire anche i rischi derivanti dalle fluttuazioni generate dal monopolio veneziano dei metalli preziosi. La lettera cambiale del XIV secolo costava mediamente un 14% d’interesse, un costo del tutto paragonabile al prestito ad usura.Venezia costrinse l’Europa a passare al sistema aureo risucchiando tutto l’argento in circolazione. Dal 1300 al 1309 l’Inghilterra acquistò all’estero 90 mila sterline di argento per la coniazione, mentre nel periodo 1330-1339 riuscì ad importarne solo 1000 sterline. “Ma per tutto il decennio 1330-1340 a Venezia non si registrò nessuna scarsità di argento”.I banchieri fiorentini avevano così ampio spazio per speculare con il loro famoso fiorino d’oro. Ma nel periodo 1325-1345 si registra un capovolgimento della situazione. Il rapporto del prezzo dell’oro su quello dell’argento iniziò rapidamente a diminuire,da 15 a 1 scese a 9 a 1. Quando il prezzo dell’argento cominciò a risalire, dopo il 1330, a Venezia l’offerta di argento era enorme. Nel periodo 1340-1350 “lo scambio internazionale di oro e argento tornò ad intensificarsi notevolmente”, afferma Lane, che documenta inoltre una nuova impennata dei prezzi dei beni.I banchieri fiorentini adesso si trovarono intrappolati con tutti i loro investimenti denominati in oro, mentre il prezzo del metallo scivolava al ribasso.Dopo il crollo dell’oro innescato dai veneziani alla fine degli anni Venti, i fiorentini non furono in grado di prendere contromisure fino al 1334, quand’era troppo tardi, il re di Francia aspettò fino al 1337 ed il re d’Inghilterra fino al 1340, come detto all’inizio.Secondo Lane: “La caduta del prezzo dell’oro, alla quale i veneziani avevano decisamente contribuito con notevoli esportazioni di argento ed importazioni d’oro, ricavandone profitti, andò a discapito dei fiorentini. Invece di essere i leader della finanza internazionale… i fiorentini non erano in una posizione di poter profittare dei cambiamenti verificatisi tra il 1325 ed il 1345 come lo furono invece i veneziani”.I superprofitti della Serenissima nella speculazione globale continuarono fino ai disastri bancari ed alla disintegrazione del mercato avvenuti tra il 1345-47 ed in seguito.Nel periodo 1330-1350 la Peste Nera si diffuse nella Cina meridionale sterminando tra i 15 ed i 20 milioni di persone, mentre veniva esaurendosi la furia saccheggiatrice dell’impero mongolo. L’economia monogola si fondava su branchi sterminati di cavalli che rovinarono l’agricoltura di tutto l’immenso dominio dei Khan. Questo flagello ebbe anche l’effetto di costringere i roditori portatori della peste, confinati da secoli in una ristrettissima regione del nord-est della Cina, a migrare verso le regioni meridionali e sulle vie che verso occidente portano al Mar Nero.Nel 1346 la cavalleria mongola diffuse la peste nelle cittadine della Crimea, sul Mar Nero, da dove i traffici marini la portarono in Sicilia, nel 1347, e da qui si diffuse in tutt’Europa.La popolazione europea ristagnava sugli stessi livelli da circa quarant’anni, concentrandosi però maggiormente nelle città dove le infrastrutture, soprattutto quelle idriche e e sanitarie, risultavano sempre più carenti e malandate. I famosi ponti di Firenze, ad esempio, furono edificati tutti nel XIII e nessuno nel XIV secolo. La situazione alimentare cominciò a peggiorare con lo scarseggiare dei raccolti. Durante le crociate, la pur limitatissima istruzione classica che si impartiva nei monasteri fu duramente perseguitata dall’ordine cistercense di Bernardo di Chiaravalle che predicava le crociate. Nel 1225 il papato proibì che nei monasteri si istruissero i giovani esterni, gli “oblati”, l’unica forma di istruzione per chi non appartenesse ad una famiglia particolarmente facoltosa.Dopo il crac finanziario e il diffondersi della peste, la popolazione cominciò a ridursi drasticamente, passando da un livello di circa 90 a circa 60 milioni.

@fabiogaraventa