FRUSTULA DE VALLE SORANA. NUOVE RICERCHE SU BALSORANO (AQ) @elisatrillyantonini @alessandratanzilli

L’iscrizione della “Chiesa Vecchia” di Balsorano tra frammenti di sarcofagi, stemmi, acroteri decorati, cornici e un’epigrafe romana1, murati nell’androne del castello di Balsorano Vecchio2, c’è un’iscrizione tardo-medievale che ricorda la posa della prima pietra di una chiesa (Fig. 1)3. Per
rintracciarne la provenienza e stabilire per quale edificio sacro sia stata realizzata sono state di ausilio le fonti archivistiche: la prima è una lettera del 1611 inviata dal barone Fulvio Pietropaoli, il quale asserisce di aver notato l’epigrafe nella chie- sa matricedi Balsorano4; ad essa seguiranno le visite pastorali del 1663, del 1703 e del 1767, in cui si annota che la lapide è posizionata presso il lato sinistro dell’ingresso della chiesa balsoranese intitolata alla SS. trinità, a S. Giorgio e S. martino5. alla distruzione della chiesa, nell’ultimo quarto del XViii secolo, l’epigrafe fu spostata nel castello6. il testo dell’iscrizione è il seguente: M·CCCC· XXXXIIII·VIII·Ind (ictione) · adi· XXII· deoctub (ri)· Lisi· de· Ce lano· secundo· f ece · principiare questa ·bened ecta· ecclesia l’epigrafe dunque ricorda che Lisi secundode Celanofece iniziare i lavori di realizzazione di una chiesa giovedì 22 ottobre 1444, giorno celebrativo di S. Donato vescovo7, durante l’ottava indizione8; è redatta in gotica epigrafica di derivazione napoletana, in moduli regolari di forma tondeggiante, con frequente ricorso ad abbreviazioni e filetti ornamentali con cui si completano e concludono le lettere9; l’adozione di tale tipologia scrittoria in questa zona trova spiegazione negli stretti rapporti politici ed artistici intercorrenti tra l’area napoletana e la conca celanese,ultima pars regni 10.Il testo è in volgare con un singolo lessema latino (ecclesia) e qualche concessione di gusto arcaico (ct in luogo di ttnella parola benedecta, la ual posto della oin secundo), ma i verbi causativi principiare e fececorrispondono al registro aulico. Fenomeni di apofonia vocalica, riconducibili a volgarismi locali, compaiono nelle parole benedecta(per benedicta) e octuber(invece che october); si notano fra ogni parola i segni distinguenti a stella posti al centro del rigo, l’inosservanza della corretta divisione delle sillabe per andare a capo (f-ece, bened-ecta), forse indotta dall’impaginazione in un campo epigrafico di ridotte dimensioni, l’indicazione della data nella forma volgarizzata adi XXII de octubr(i) al posto del classico XI Kal. Novembrise l’omissione della consueta formula a(nno) D(omini). nel campo inferiore a destra e a sinistra è scolpito il medesimo rilievo di uno scudo attraversato obliquamente da banda, arma dei Celano11, e al centro si trova uno scudo di stile torneario. Un potente suffeudatario: Lisi de Celano secundo Per sapere chi fosse quel Lisi secundo de Ce-lano che si adoperò a far erigere una chiesa, sicuramente a proprie spese, bisogna riannodare i fili della storia dagli inizi del ‘400, quando il re ladislao aveva concesso a ruggero, conte di Celano, la terra di Balsorano pro satisfactione armigerarum gentium12, poi trasmessa a nicola ii, nipote di ruggero e figlio di Pietro ii, che nel 1408 aveva ottenuto anche la nomina di Gran Giustiziere, una delle cariche più importanti poiché presupponeva una stretta collaborazione con il sovrano nelle attività governative13; nel 1414 la regina Giovanna ii, salita al trono di napoli dopo la morte del fratello ladislao, riconfermò a ruggero il beneficio e, a titolo di riconoscenza del valore, della fedeltà e dei servigi da lui resi, gli assegnò anche la baronia di Castelluccio, di Valmaggiore e di altre terre in abruzzo, in Capitanata e in terra di lavoro14. alla sua morte, avvenuta forse nel 141815, gli successe il figlio Pietro iii, fratello di quella iacovella o Covella che avrà poi un ruolo politico decisivo per la contea16. il conte Pietro iii ottenne dalla regina Giovanna ii anche il feudo di Sora, la valle del liri e Balsorano, estendendo così i possedimenti celanesi17, avendo già acquisito gli avamposti di Vicalvi e Posta Fibreno18. il 26 agosto 1422, poco prima della sua morte, Pietro dettò le sue ultime volontà ad un notaio alla presenza di molti testimoni, tra i quali le sorelle angelella, antonella e Covella19: beneficiaria del titolo e dei possedimenti fu proprio quest’ultima20.Covella nel 1424 sposò, ancora infante, odoardo Colonna, nipote di martino V21, ma in seguito chiese l’annullamento del vincolo coniugale per sposare nel 1433 il vecchio Jacopo Caldora22, feudatario fra i più potenti del regno di napoli, i cui possedimenti si estendevano dalla valle Peligna alla Puglia.nonostante i contrasti derivati dall’appoggio dei Caldora alla casa angioina nella successione al regno di napoli e la sconfitta del figlio antonio nel 1442 da parte di alfonso d’aragona, dopo la morte nel 1439 del secondo marito Covella riuscì a convolare a nozze intorno al 1445 con un fautore degli angiò, il giovane leonello acclozamora, nipote di Jacopo Caldora e duca di Bari23. la reggenza della contea da parte dell’augusta coppia fu illuminata dall’impegno profuso nella sua riorganizzazione e dalla partecipazione al rinnovamento artistico e monumentale del feudo ravvisabile ad esempio nella costruzione, nell’ampliamento o nel completamento del castello di Celano24,della preesistente struttura del castello di Balsorano25, delle chiesedi Sant’angelo e di Santa maria in Valleverde a Celano26. la difficoltà di amministrare un territorio così esteso e conteso dovette però costringere i conti a concederlo in suffeudo se nell’elenco, compilato nel 1445 ad ricolligendam tassam a baronibus27, appare il nome di un luigi da Celano, suffeudatario di leonello acclozamora28, che a tale data controllava ben trentanove possedimenti in abruzzo tra cui la baronia di Balsorano. luigi da Celano è dunque il nostro Lisi secundo de Celano, attestato anche con i nomi di ludovico o in varie forme corrotte e abbreviate di aloysius, lisi e lysio29. lisi ii era discendente di un primo Loysio de Celano, possessore di una porzione del castrum marsicano di arciprete alla fine del XiV secolo30, e figlio di Catarina del Balzo e di matteo da Celano, nonché cugino del nonno di Covella31; tra l’altro i rapporti familiari erano stati rinsaldati da quando il padre della contessa, nicola ii,era diventatotutore di Berardo, fratello di lisi32. la fedeltà e l’affetto di lisi nei confronti dei nipoti sono testimoniati dalla sua ambasceria presso papa martino V in rappresentanza del conte Pietro iii – fratello di Covella – il 17 novembre 142033, e dalla rinuncia con Berardo nel 1426 ad ogni diritto ereditario su Celano in favore di odoardo Colonna, primo marito di Covella, in nome dei sentimenti di antica consuetufine 14 Non è chiaro se si tratti dello stesso luigi di Celano che ad alvito nel 1439 è testimone nella stipulazione dell’atto di donazione della contea di Popoli da parte di nicola Cantelmo al figlio Giovanni luigi35, o del guerriero che, al seguito di alfonso d’aragona, fu attaccato nel 1442 dalle truppe al servizio di Eugenio iV36. lisi, alacre vassallo di Covella, non doveva essere molto più anziano della nipote: ipotizzando che fosse coetaneo del fratello Berardo, di cui è accertata la minore età nel 140437, doveva essere nato tra la fine del ‘300 e gli inizi del ‘400 e avere all’incirca vent’anni più di Covella. Dopo la brillante amministrazione della contea di Celano fu probabilmente privato della carica alla morte di leonello acclozamora nel 1458, quando Covella volle amministrare direttamente il feudo onde tutelare e conservare interamente i propri diritti. nel 1462 il figlio di Covella, ruggero (altrimenti detto ruggerotto o rogerone), non ancora diciottenne38, rivendicò la contea e giunse persino ad assediare la madre nel castello di Gagliano aterno, dove si era rifugiata alcuni mesi dopo essere rimasta vedova39; l’infelix matermorì intorno al 1471, durante l’esilio dalle sue terre40.Per troncare il conflitto ereditario ed eliminare ogni pretesa, il re Ferdinando d’aragona, con diploma del 12 febbraio 1463, aveva assegnato la contea di Celano, compresa la baronia di Balsorano,al genero antonio todeschini Piccolomini, nipote di Pio ii41; i possedimenti concessi grazie al matrimonio con maria d’aragona furono ratificati nel pubblico concistoro dallo stesso Pio ii nell’anno 147342. nel settembre del 1463, a conclusione della conquista manu militari degli aragonesi in abruzzo, antonio Piccolomini si recò a Celano per prendere possesso della contea43;mancava però, oltre a Pescina, Balsorano: pare infatti che il borgo fosse in mano di rogerone ancora dopo il 146344, e che questi non avesse intenzione alcuna di trattare e cederne il controllo45, conservandolo almeno fino al 1468 e resistendo persino all’assedio di alfonso, duca di Calabria e figlio di Ferdinando i d’aragona, fino alla conquista del castello da parte di orso orsini, fedele al re46. Se in un documento del 26 giugno 1468 rogerone risulta essere signore del feudo47, è assai improbabile che antonio Piccolomini sia l’artefice della costruzione tra il 1460 e il 1465 del castello di Balsorano48; solo tra il 1469 e il 1470 il Piccolomini riuscì a entrare in pieno possesso della rocca e a iniziare la costruzione, parziale o integrale, delle opere murarie del castello, dato che nel 1471 rogerone risulta essere destinatario di un indennizzo, oscillante tra i 50 e 110 ducati, assegnato a tutti i baroni spodestati49. l’ultimo conte de Celanonon si rassegnò mai alla perdita dei suoi privilegi ed anzi, animato dalla vana speranza di riappropriarsi dei suoi diritti, con conflitti e scorrerie rese più difficile il riassetto territoriale dei nuovi padroni comitali fino ad essere ucciso nel 1496 a Pratola Peligna dal duca alfonso i, figlio dell’odiato antonio Piccolomini, durante il tentativo di riprendersi i suoi possedimenti avi ti50. lasciò due figli maschi, leonello e Giovanni, con i quali si estinse la dinastia che aveva reso illustre la contea di Celano per quasi due secoli (Fig. 2). La chiesa di Lisi secundo de Celano nelle fonti. Trasformazione del titolo e descrizione dell’edificio le attestazioni più antiche della chiesa sono contenute nei bollari del 1574 e del 157851, nella visita pastorale del 7 gennaio 1593 52, in un brogliardo del 1599 53. non è chiaro a chi la chiesa vecchia fosse dedicata al momento della sua costruzione né sappiamo se abbia mutato l’intitolazione nel secolo successivo in quanto la dedica alla SS. trinità in associazione con san Giorgio e san martino fu posteriore alla distruzione avvenuta tra il 1599 e il 1610 delle chiese dei due santi54; probabilmente la devozione della trinità fu promossa dalla comunità benedettina, profondamente radicata nel territorio perché capace di attrarre fedeli di ogni condizione sociale ed economica55. le visite pastorali del ‘600 configurano un edificio orientato E/o ad una sola navata, cui si accedeva da due porte, provvisto di campanile con tre o quattro campane e di annesso cimitero56; la sacrestia in tal epoca era in costruzione dietro l’altare maggiore. Fra le relazioni stilate in questo periodo, appare particolarmente puntuale la visita pastorale del 1663 secondo cui lo spazio liturgico, eccettuato il presbiterio, era diviso in quattro parti scandite da tre grandi archi57; sul lato in cornu Evangeliisi aprivano cinque piccole finestre, mentre in controfacciata c’era una finestra più grande; il soffitto era in laterizi dipinti, il pavimento in cotto e in pietra58. l’altare maggiore era arricchito dall’immagine del culto titolare e da un dipinto raffigurante san Carlo, san Giorgio e san martino. a destra, si aprivano le cappelle del santissimo rosario e di san michele arcangelo, a sinistra quella della santissima annunciazione59; qui precedentemente era collocato
anche l’altare di sant’antonio abate60. nonostante la monumentalità del portale d’ingresso maggiore, in occasione della sua visita il vescovo dispose che fosse impreziosito dall’icona della SS. trinità61. nella torre campanaria alloggiavano quattro campane62. Poiché le relazioni del ‘600 trovano ampie corrispondenze anche nelle visite settecentesche, si deve ritenere che la chiesa nel secolo successivo non abbia subito sostanziali cambiamenti strutturali: nella visita pastorale del 1704 è descritto un edificio ad una sola navata, il cui tetto era sostenuto da quattro archi, l’accesso consentito da due porte, la maggiore al centro, la minore a destra; sul lato destro, subito dopo l’ingresso, era posto il fonte battesimale, e sopra la porta maggiore, in controfacciata e fra due pilastri, l’organo; insieme con il maggiore, aveva sette altari63. l’illuminazione naturale era garantita da cinque finestre, di cui una sul coro, le altre distribuite sui lati lunghi. il campanile, fornito di tre campane, era a destra e accessibile dall’interno64. maggiori dettagli nella relazione del 1767 che riporta anche le dimensioni: la chiesa era lunga più di m 26, larga circa m 10, alta m 11,565; la pavimentazione e il soffitto erano in laterizio, ad eccezione dell’abside dell’altare maggiore66. appena due anni dopo la chiesa appare cadente, umida, fatiscente e addirittura priva di copertura adeguata, tanto che mons. Giuseppe maria Sisto y Britto esortò a ripararla o a ricostruire con sollecitudine una nuova, nello stesso luogo o in un altro67. la fine sarà affrettata da un evento rovinoso: nella visita pastorale del 1782 si annotò che non era più agibile per i danni arrecati dal sisma occorso dieci anni prima68, per cui la chiesa di Santa maria della Croce ne diventava provisionaliter substituta69; in un altro documento si imputano l’abbandono e la distruzione ad un incendio, che pure aveva risparmiato la struttura perimetrale, ma soprattutto al gettito di materiale di risulta dall’alto durante le operazioni di restauro del castello, agli agenti atmosferici e alla tecnica costruttiva utilizzata70. L’ubicazione della prima chiesa il primo edificio sacro, a cui seguirono dopo la sua distruzione due successivi impianti eretti in luoghi distanti71,secondo la tradizione era situato
nell’area immediatamente sottostante il castello72; un’informazione di carattere topografico è desumibile dalla citata circostanza secondo cui nel 1663 il vescovo e il suo seguito di chierici e notabili per raggiungere la chiesa devono smontare dalla carrozza, proseguire a piedi, superare una porta delle mura e salire per un viottolo impervio e scosceso73. Comunque la chiesa doveva essere interna alla cerchia muraria e nelle immediate vicinanze del castello, giacché il maniero fu raggiunto velocemente dal prelato che vi pernottò al termine delle funzioni74. Ciò troverà conferma in alcune indicazioni rilevabili da documenti successivi, quando ancora non si era persa memoria del primitivo sacello; in una richiesta del 1825 di fondi necessari per la ricostruzione della seconda struttura, si ricorda che la chiesa originaria era posta su un pendio adiacente alla vetta del colle75; in una visita pastorale del 1874 si annotava che la nuova costruzione si era resa necessaria «dopo il crollamento della Chiesa che s’innalzava sotto una collina contigua al Castello, detta Chiesa Vecchia»76, mentre in una relazione stilata dal Genio Civile di avezzano nel 1877 si puntualizzava che sotto il castello «nel versante nord esisteva una chiesuola di epoca di costruzione pare certo a quella del castello», non lontana da porta Palomba e Vico delle rocce77. Sono determinanti nell’identificazione del sito le fonti iconografiche che rappresentano la chiesa sotto il castello: nella mappa redatta nel 1659 da orazio torriani si riporta la chiesa – che in effetti appare orientata est/ovest così come annotato nella visita pastorale del 1609 (Fig. 3) – nei pressi della torre occidentale del castello78; in una veduta di richard Colt hoare realizzata nel 1791 svetta alto il campanile di una chiesa immediatamente sottostante il fortilizio79; in un dipinto, recentemente realizzato sulla base di puntuali memorie e conservato nel locale museo della pastorizia, la chiesa è collocata nella medesima posizione e nei pressi di porta Palomba80. a nostro parere, la chiesa vecchia doveva trovarsi dove oggi è posta la piscina del castello, costruita riusando anche le opere murarie dell’edificio sacro81.
Il secondo impianto della chiesa della SS. Trinità nelle fonti archivistiche Della chiesa ricostruita alla fine del ‘700 oggi restano in piazza San martino solo macerie e un pilastro con qualche immagine del paese prima del sisma e alcune fotografie scattate subito dopo il 1915 (Figg. 5-6), una foto aerea del 1944 e qualche fotogramma di un video amatoriale girato nel 1956 mostrano la sopravvivenza fino alla metà del secolo scorso di parti cospicue dell’edificio83. la chiesa era stata costruita non senza difficoltà e lungaggini: difatti nel 1825 non era ancora ultimata, tanto che le funzioni si celebravano nella chiesa di Santa maria della Croce, anch’essa però chiusa dopo gli ingenti danni provocati da una tempesta di vento84. a quanto pare, l’edificio non fu mai completato e già nel 1849, a causa del cedimento del terreno ora cosi fatiscente da minacciare rovina85; quattro anni dopo l’amministrazione si impegnò a fare fronte alle spese del completamento86, ma nel 1858 si rese indispensabile un intervento di restauro, giacché l’edificio «si rattrova nello stato orrendo a’ due lati laterali […]. Si stanno approntando i materiali occorrenti pel restauro fondamentale»87; a nuovi restauri, condotti nel 1894 88, seguì nel 1902 la necessaria opera di manutenzione degli altari, di cui alcuni interdetti al culto per fatiscenza89. il terremoto del 1915 segnerà la fine anche di questa chiesa, i cui antichi fasti e i travagliati restauri sono ricordati nella relazione datata 3 dicembre 1933 90, quando le funzioni vengono officiate in una baracca91. una chiesa in cemento armato fu costruita tra il 1938 e il 1939 nel nuovo centro di Balsorano, in piazza Scacchi, sancendo così la definitiva morte dell’antico borgo murato92. Nuove scoperte nell’aprile 2016 abbiamo individuato un edificio molto interessante, ritenuto dai locali un antico frantoio, forse in una successiva destinazione d’uso. la costruzione, oggi fatiscente e pericolante, è raggiungibile percorrendo via ravone, un sentiero che confluisce in via noce dei Santi cui anticamente spettava la funzione di collegamento all’interno del circuito murario da porta San Giorgio a porta Palomba. il lato sinistro è impostato, al fine di superare il dislivello di quota e permettere la costruzione in piano93, su un basamento di cinque filari di grandi conci calcarei accuratamente squadrati e sagomati in modo da costituire un angolo di curvatura; i blocchi s’interrompono subito dopo l’angolo per dare inizio ad un paramento di più recente reintegro in bozze calcaree di modeste dimensioni e ammorzato da alcuni blocchi squadrati (Fig. 7). il complesso è formato da un edificio cinto da mura di pietre regolari e da scaglie calcaree, parzialmente in piedi e ingombra di pietrame di risulta94, cui si accede da una porta scontornata da conci calcarei ben levigati95; l’edificio, su due livelli, presenta due porte d’accesso al centro e a destra, ad arco ribassato e scontornato. il vasto ambiente interno è scandito al centro da tre pilastri sagomati a croce costituiti da conci squadrati (altezza cm 60) che sorreggono volte a semicrociera con lunette raffrontate al centro; i muri laterali sostengono volte a botte (Figg. 8-10). Del piano superiore restano solo i lacerti della fronte e della parete occidentale, in cui abbiamo individuato i resti pertinenti alla volta e alle spallette di una cappella absidata, ancora intonacata, mentre sul lato prospiciente la via noce dei Santi non può sfuggire la presenza di un grande blocco sagomato e arrotondato, forse un gradino di un campanile o di una torretta, oggi usato per l’accesso all’orto ricadente nella stessa area in esame.Il crollo delle volte interessa oggi il settore adiacente all’entrata, mentre alcuni interventi in muratura a secco, con blocchi in cemento e calcestruzzo sono stati recentemente eseguiti nel settore di fondo allo scopo di sostenere alcune superfetazioni moderne e rafforzare le volte. il pavimento originario non è visibile poiché il piano attuale di calpestio ha subito un innalzamento medio di circa cm 85 e lo spazio terminale è rialzato di altri cm 45. non possiamo al momento identificare la destinazione d’uso dell’edificio, di cui ribadiamo l’indubbia importanza architettonica; nella costruzione si potrebbe riconoscere una chiesa, forse l’edificio provvisto di campanile che nella mappa di orazio torriani è posto immediatamente a sinistra della chiesa vecchia,anche se nel sito non si conoscono altre chiese (Fig. 11) 96. Bisogna rilevare che l’edificio in questione presenta non pochi elementi coincidenti con le descrizioni rese nelle fonti riguardanti la prima chiesa della SS. trinità: innanzitutto l’ubicazione intramuraria sull’unica altura posta a settentrione e a ridosso del castello, le dimensioni – quali la larghezza di m 10,76, la lunghezza di m 23 e l’altezza ricostruibile di m 11,50 –, compatibili con le misure riportate nella visita alla chiesa della SS. trinità del 1767, oppure la circostanza che abbia due porte frontali, una grande finestra nella fronte, tre grandi archi che scandiscono lo spazio interno, l’adozione di una tecnica costruttiva consistente in blocchi posti a secco o pietre legate da pochissima malta soprattutto nelle volte, riferita dalle fonti97, e il rialzo della parte terminale, propria dei presbiteri (per la ricostruzione ved. Figg. 12-15). non coincide però con la descrizione del 1609 l’orientamento dell’edificio, il numero delle finestre individuabili nella parete di sinistra, due e non quattro, e soprattutto l’esistenza del piano superiore, caratteristica dell’edilizia civile. L’urbanistica medievale di Balsorano oggi il vecchio borgo è ridotto in macerie o totalmente sconvolto da rimaneggiamenti successivi al sisma del 1915 che rendono dunque difficile restituirne l’aspetto primitivo, ma grazie alla già citata mappa raffigurante il borgo Balserano, opera di orazio torriani98, ad alcune immagini degli inizi del ‘900 99, ad una foto aerea verticale di discreta risoluzione scattata dalla RAF nel 1944 100, ad un altro dipinto degli anni ’90 101, è possibile delineare l’antica forma urbana di Balsorano con le sue quattro porte urbiche poste agli angoli del quadrilatero che racchiudeva l’abitato, alcuni tratti murari102, la prima chiesa della SS. trinità, l’edificio di via ravone, la planimetria della seconda chiesa della SS. trinità, la via antiqua epersino una cittadella o fortezza extraurbana finora sconosciuta alle fonti archivistiche ma testimoniata dalla mappa del torriani e forse dai lunghi lacerti murari ancora in piedi nei pressi di via ii al Corso, a ridosso dei ruderi della seconda chiesa della SS. trinità; risulta invece più difficile accertare tutto il perimetro murario di difesa in quanto molte costruzioni già prima del sisma si erano addossate.Lo studio delle fonti iconografiche ci ha permesso di stabilire che la strada extraurbana proveniente da sud, cioè da Sora e da loc. ridotti, si biforcava prima di arrivare al borgo generando via San Sebastiano103, che attraversava l’abitato a partire da porta San Pietro, testimoniata da due immagini scattate intorno al 1909 104; quindi la via urbana conduceva a porta San martino, l’unica oggi rimasta in piedi delle quattro porte del borgo (Fig. 16). tale strada era parallela alla via – posta ad un’altitudine maggiore – che conduceva da porta San Giorgio, nei pressi della chiesa omonima, a porta Palomba, così appellata perché da qui si arrivava alla torre colombaia, ancora oggi superstite (Fig. 17)105. una via, chiamata Rua Chianeglie, correva lungo il margine esterno della linea difensiva che univa porta San Giorgio a porta San Pietro106. l’osservazione attenta delle immagini consente di stabilire che fino al 1944 e agli interventi edilizi condotti dalla fine degli anni ’50, che alterarono irrimediabilmente la planimetria del borgo e la viabilità antica, Balsorano aveva sostanzialmente conservato l’aspetto assunto alla fine del XV secolo con i suoi principali monumenti (Fig. 18), dato che è nettamente distinguibile l’estensione in area pomeriale – sviluppatasi dal secolo XViii fino al terremoto del 1915 attorno alla seconda chiesa parrocchiale, alla chiesa di Santa maria della Croce e alle contrade Ceusa ed orto Pezziglio-riconducibile all’incremento demografico ed economico che sarà bruscamente interrotto dal sisma. un’ipotesi, che potrebbe trovare conferma solo con l’esplorazione e l’analisi di tutte le strutture murarie dell’insediamento è che la terra murata ha avuto due fasi di sviluppo: la prima fra il X e l’Xi secolo, nello stesso periodo in cui molte alture del lazio meridionale furono incastellate107, durante la quale l’insediamento si concentrò nel versante sud-ovest del colle perché più favorevole alla funzione di controllo e di difesa dell’asse viario e della valle; la seconda fase potrebbe risalire alla prima metà del XV secolo in associazione con il rafforzamento del potere aristocratico, culminato con la ricostruzione del castello, e in concomitanza con la perdita di influenza esercitata dal monastero cassinese; in quest’ultima fase il borgo si estese anche nel versante settentrionale del colle conformandosi alla pianta ad avvolgimento già assunta nel nucleo di vecchia formazione, mantenendo la disposizione anulare degli assi viari attorno alla fortezza sommitale, conservando l’assenza di spazi aggregativi dal momento che la popolazione, dedita alla coltivazione o all’allevamento, anche transumante, non avvertiva la necessità di luoghi di incontro ma preferiva edificare in modo intensivo o coltivare gli orti ricavati intra moenianelle maglie dell’abitato108. ‘Introitum habet ex lapidibus elaboratis’:elementi lapidei scolpiti con motivi fitomorfi Si apprende dalla visita pastorale del 1663 che la chiesa della trinità era arricchita da un portale di raffinata fattura109; potrebbe essere uno stipite o piedritto il blocco con rilievo di motivi fitomorfi incassato in un vicino muro di cinta (Fig. 19)110. Se la provenienza fosse certa, la sua realizzazione sarebbe coeva a quella della chiesa, anche se non si può comunque escludere che provenga da altri edifici realizzati nel medesimo ambito temporale,cioè nella fase di ristrutturazione urbanistica seguita all’acquisto dei Piccolomini. il fenomeno artistico dei portali scolpiti era difatti da sempre diffuso nelle chiese de valle Sorana: sappiamo da fonti archivistiche che la chiesa campestre di San Donato era impreziosita da stipiti lavorati111, al pari della chiesa di Santa Brigida112. la trama decorativa non appare dissimile in un altro esempio scultorio, inedito e d’ignota provenienza, rappresentato su un blocco in calcare sistemato nella sala consiliare del municipio di Balsorano (Fig. 20)113; potrebbe essere stato decorato da un simile fregio il consunto frammento incassato nel muro di cinta del parco del castello a circa due metri e mezzo d’altezza114. il medesimo motivo figurativo caratterizza il frammento, anch’esso inedito, murato in una villa di Via s Nicola n 3 115 e rinvenuto nel 1999 durante i lavori di restauro di un casale alla profondità di m 1 dal piano di calpestio attuale e in terra forse di riporto (Fig. 21); il reperto potrebbe provenire dal vicino monastero benedettino di San nicola116, di cui oggi restano non solo il muro di cinta117, ma anche tracce della curtisbenedettina ravvisabili nello sfruttamento intensivo
della campagna sistemata da antiche opere di terrazzamento e di canalizzazione delle acque della vicina Fonte San nicola. la chiesa di San nicola, prima appartenente all’abbazia di San Vincenzo al Volturno118, era stata acquisita nel 1089 damontecassino con cui l’inclita vallis Sorana aveva instaurato forti legami almeno dal terzo venticinquennio dell’Xi secolo; quindi apparirebbe scontata l’appartenenza del frammento alla temperie stilistica dei portali decorati da girali d’acanto rappresentata, per citare esempi viciniori, dal frammento di lastra decorata dal rilievo a girali d’acanto murato in un casolare in via Sant’angelo a Balsorano119, proveniente da qualche cenobio de valle Sorana, o dal blocco di architrave reimpiegato nella chiesa della vicina frazione di San Giovanni Vecchio120, che attestano l’attività di una vera e propria bottega scultorea della marsica121, specializzata e particolarmente qualificata nella realizzazione per una committenza non solo locale di portali che ricorrono al repertorio figurativo di girali d’acanto a racemi abitati, con cui il confronto più stringente, illustre e significativo può essere instaurato con il magnifico e maestoso portale della cattedrale di Sora oppure con gli stipiti dei portali di Santa maria di luco dei marsi122, riconducibili alla pervasiva e incisiva presenza dall’Xi secolo dell’abbazia cassinense e alla diffusione dei programmi di immagine di ritorno all’antico legati all’azione riformatrice di Gregorio Vii e dell’abate Desiderio. ma l’omogeneità con i reperti già descritti e l’adozione del diverso schema figurativo, ravvisabile nella resa geometrica delle foglie lanceolate e degli steli del tralcio vegetale che descrivono ampie volute e nodi, sposta l’orizzonte cronologico di oltre tre secoli qualora fosse indubbia la pertinenza dei frammenti prima descritti alla chiesa quattrocentesca della SS. trinità o a qualche edificio del luogo risalente alla medesima epoca.

@elisatrilyantonini-alessandratanzilli

disegni: l’arch. antonino tomasello. le fotografie sono degli autori.

Si ringraziano la dr.ssa romina rea (archivio Storico Diocesano di Sora) e il sig. antonio Villa. Siamo grati inoltre ai sigg. adriana Bacca e roberto norcia che ci hanno permesso di effettuare l’autopsia di uno dei frammenti lapidei qui presentati, conservato nel loro bel casale; la nostra riconoscenza vada anche ad annamaria e ad antonella laurini e a Carlo lucantonio per averci messo a disposizione i quadri del dr. Giovanni lucantonio e i suoi appunti in un pomeriggio balsoranese piacevole e proficuo.

Note :

1Si tratta del titulusfunerario M(arcus) Novius M(arci) l(iber-tus) / sibi et [suis] / [novia]e M(arci) l(ibertae) Na[—-] / (mulieris)l (ibertae) Stel[—-] / (mulieris) l(ibertae) Iug[—-] / [novio] M(arci) [l(iberto)], che fu pubblicato da lauri1910², p. 29 («Esiste pure nel castello una lapide sepolcrale dell’epoca romana, spezzata nel mezzo, dedicata ai membri della famiglia Novia, di cui ho fatto un calco a grafite, richiestomi dal museo nazionale di napoli, e che sarà pubblicato nel Giornale degli Scavi») e quindi, su segnalazione dello stesso achille lauri, da auriGEmma1910. l’epigrafe si sviluppa su tre frammenti, di cui due ricomposti per una larghezza complessiva di cm 45,5 di larghezza e cm 27 in altezza; le lettere della prima linea sono alte cm 6,5, della seconda e della terza cm 5; il terzo frammento, conservato per una larghezza massima di cm 22 e di cm 27,5 di altezza, presenta lettere alte cm 5. Per modalità di sistemazione, lo spessore reale non è rilevabile. 2il complesso castrense, posto su uno sperone roccioso a m 444 s.l.m., fu costruito secondo tradizione da antonio Piccolomini dal 1463 forse su un precedente impianto di cui fino al sisma del 1915 esisteva il mastio costruito dai Berardi, conti di Celano, visibile in immagini d’epoca antecedenti al terremoto (luCantonio 1997, p.12; torDonE2005, p. 225). la costruzione del castelloresidenza e delle mura, per tipologia e tecnica, risale ad età tardomedievale; la pianta pentagonale ai cui vertici sono posti torrioni cilindrici, il cortile centrale, la muratura in bozzette calcaree poste su filari regolari per le parti residenziali, irregolari per torri e mura, attengono difatti ad uno schema diffuso nel XV secolo. Frequenti rimaneggiamenti rendono però difficile distinguere le persistenze murarie originali: il maniero fu infatti sottoposto nel XiX secolo a restauri aspramente criticati da alexandre Dumas, che così ebbe a dire sul proprietario dell’epoca, il conte Carlo lefebvre: «ma il torto gravissimo che ebbe,- non esitiamo a dirlo,- fu d’aver intonacato l’antico castello, restaurato le torrette ed elevato sulla terrazza una specie di caserma biancastra, con persiane d’un verde abbagliante […]. i milioni possono dare i feudi, le baronie, i titoli in o o in a; Dio solo fa gli artisti» (DumaS1863, p. 275); fu di
scutibilmente restaurato in chiave neogotica nel 1930 dai proprietari Fiastri Zanelli in seguito ai danni arrecati dal sisma del 1915 soprattutto ai piani superiori (ChiariZia1997; Somma2000, p. 226). Dalle fonti è attestata la residenza della famiglia comitale dei marsi in civitate Valesorana(Gattola1733, p. 248), ma la prima citazione dell’esistenza di un castrumè presente in un documento del Xii secolo (CatBar 1111, p. 216: «h(a)ec sunt castella qu(a)e tenet pr(a)edictus Comes in servicio: Vallem Soranam et Collem Erectum qu(a)e sunt pheudum iiii militum»), quindi del secolo Xiii, durante il dominio di ruggero, conte d’alba (RatDecCamp, p. 16 e p. 21). il fortilizio era posto in collegamento ottico e viario con il complesso formato da due torri e recinto di loc. le Starze, nei pressi del fiume liri, dove più tardi fu eretta la chiesa della madonna delle Grazie riutilizzando in parte le preesistenze murarie (Somma2000, pp. 228-230), e controllava l’accesso alla valle e alla via antiqua,qu(a)e dicitur Marsicana(ChrVult i, p. 244), l’antica via Soranadi mezzacosta costruita sul versante orientale del liri fra il iii-ii sec. a. C. per collegare la viaValeria con Sora (DEroSSi1980, p. 275; GroSSi1992, p. 41, p. 90, tav. 1). tale via era quella percorsa anche dai vescovi impegnati nelle visite pastorali alle chiese della diocesi che, dopo la tappa a Balsorano, raggiungevano San Giovanni de Collibus(Squilla1971, p. 133); alla fine del XViii secolo la strada era tortuosa, dissestata e pietrosa (hoarE1819,pp. 337-338: «From Balzerano i pursued a winding course along the side of the mountain, over a gradual ascent and a rough stony road, through the villages of St. Giovanni and St.Vincenzio, to the little town of morrea, distant five miles. the ride was delightful; the country picturesque, and greatly enriched by the luxuriant foliage of large oaks.»); per questo motivo si rese necessaria nel 1834 la sistemazione della via di fondovalle, oggi SS. n. 82 della valle del liri (JaDECola2015, p. 96), già esistente in età imperiale (GroSSi1992, p. 41) e documentata da una mappa del secolo XViii (ASFR, Pianta con l’indicazione degli opifici e dei molini lungo il corso del Liri e del Fibreno, 1791, Atti demaniali, busta 65, fasc. 153). Balsorano Vecchio fu collegata alla nuova strada grazie ad una rotabile completata nel 1850 (torDonE2005, p. 42). 3materiale: calcare; misure: larghezza cm 52,5, altezza cm 45, spessore non rilevabile. altezza lettere: da cm 4 a 3,5. 4Ms. Barb. lat., c. 249v:«Di tomaso 2° nacquero rugiero 2° et matteo ambedoi chiamati Conti di Celano nelle scritture antiche; matteo fù molto favorito da rè ruberto et hebbe per moglie Caterina del Balozzo, e da loro nacque loisio, che edificò la chiesa matrice dentro la terra di Balzerano, come me ricordo hauer letto in una iscrittione al fronte di detta Chiesa vicino la porta».

Visita pastorale 1663 c 5v at latus sinistrus introitus reperta sunt insignia qu(a)edam antiqua, cum fascia, seu sbarra diametrali transversa, et desuper cum elmo. insuper autem h(ab)et inscrip(tio)nes ex charactere antiquo subsequentibus verbis: ‘m.CCCC.Xl.iV. octava ind(ictio)ne à di 22. d’ottobre. lisi de Celano Secundo fece principiare questa benedetta ecclesia’» la medesima notizia compare anche inVisita pastorale 1703-1704, c. 88 («la Chiesa […] fù eretta per quanto si può raccogliere da una iscrizzione che apparisce da una lapide impressa nel muro di d(ett)a Chiesa nel lato della porta maggiore l’anno 1444 […]») e in Visita pastorale 1767, c. 25 («Della fondazione della Chiesa non ne abbiamo alcuna memoria, à riserba d’un’iscriptione à carattere gotico in una lapide posta nella parete sinistra della porta della Chiesa»). notizia dell’epigrafe è in lauri1910, p. 25 («nel Castello di Balsorano esiste una ben conservata lapide con caratteri gotici, un giorno appartenente alla chiesa attigua al Castello, oggi distrutta. Essa fu fabbricata da un ‘Lisi de Celano’ che forse ne era il signore [segue il testo dell’epigrafe]. Se c’era parentela tra il Lisi de Celanoe il Lisi de Pescina[rainaldo lisi] non so, né credo utile perdere del tempo per saperlo.»), in lauri1910², p. 29 e in seguito in lauri1929, pp. 14-15. Più recentemente, anche se restituita in modo scorretto e lacunoso, l’iscrizione è stata pubblicata nel sito http://www.diocesisora.it/istituto/parrocchie-balsorano/. non è invece possibile che l’iscrizione sia pertinente alla chiesa gentilizia del castello(Visita pastorale 1767, c. 35: «Vi è un solo oratorio privato nel Palazzo dell’ill.mo Sig. Barone padrone di q(ue)sto luogo, in cui celebra quotidianamente il sacerdote Felice Scacchi»), talvolta interdetta alle celebrazioni (Visita pastorale 1823, c. 211: «Visitatum pariter fuit oratorium privatum in Palatio familiae Piccolomini, olim Baronii huius oppidi, et iussum fuit, ut maneat sub interdicto»). un altro sacello vicino al recinto murario era consacrato a San Pietro e sorgeva non lontano dall’omonima
porta del borgo e dalla chiesa di Santa Brigida(Squilla1971, pp. 137-139). 6l’iscrizione si può riconoscere nell’epigrafe medievale chea uriGEmma1910 afferma essere da molti anni «[…] depositata […] nell’ultimo piano del castello, donde fu tratta poi», evidentemente per essere murata nella parete nell’androne. 7Si noti che a san Donato era dedicata una prepositura benedettina eretta in loc. affitto, attestata solo dalle fonti ma non da tracce materiali. 8l’indizione è una nota cronica diffusa dalla tarda antichità a tutto il medioevo consistente nel numero d’ordine progressivo che in un ciclo di quindici anni un determinato anno occupa. l’anno 1444 però non corrisponde all’indizione ottava, ma alla settima (CaPPElli1906, p. 78) poiché, molto probabilmente, il sistema d’indizione adottato nella redazione del testo epigrafico in esame non era il romano o pontificio – per cui ogni indizione corrisponde all’anno solare –, ma il bedano (altrimenti detto costantiniano o cesareo), in cui il principio dell’anno era fissato al 25 settembre e non al 25 dicembre o al 1° gennaio. Sull’indizione, CaPPElli1906, pp. Viii-Xi. 9il ductustrova punti di contatto nella gotica epigrafica di tre iscrizioni del secolo XiV di Gagliano aterno, Castelvecchio Subequo e aielli, su cui DEruBEiS1987 e DEruBEiS2008, e intre epigrafi murate nel campanile della chiesa cattedrale di Sora, per cui tanZilli2015, pp. 263-267. 10Sulla derivazione della gotica epigrafica napoletana dalla gotica adottata in ambito librario napoletano – dove era usata nella redazione di codici miniati – e sulla sua diffusione e circolazione in area abruzzese fra il Xiii e il XV secolo, DEruBEiS2008, pp. 37-39; un esempio é costituito dall’attività di matteo Capro, esecutore nei primi decenni del secolo XV di epigrafi a Cellino attanasio e isola del Gran Sasso (DEruBEiS1991, pp. 348-350).

11 lo scudo attraversato da banda è raffigurato dal ciclo pittorico della chiesa di San Giovanni Battista a Celano. lo stemma era stato assunto da tommaso Berardi, conte di Celano dal 1322 al 1332, ma pare che fosse già dei conti dei marsi (Ms. Barb. lat., c. 248v: «Da questi Conti dei marsi vengono per discendenza li Conti di Celano e d’albe perché si vedono in memorie antiche esser tutt’un’arme ch’è un’ scudo azzurro traversato con’ sbarra d’oro e volgarmente chiamata la famiglia di rugieroni ma nelle scritture sono chiamati di Celano, perché ivi facevano residenza et era costume di Sig.ri di quel tempo esser nominati dalli luoghi di loro residenza ò titoli come si vede nell’historie et in particolare di questo regno.»). èdiffuso e censito nella valle Subequana, in particolare a Gagliano aterno, a Castelvecchio Subequo, a molina aterno e ad aielli (DEruBEiS1987; DEruBEiS1994, schede n. 2, 30, 37, 37 bis, 49, 55; DEruBEiS2008, pp. 37- 39). 12Sulla notizia, riportata dai Registri della Cancelleria Angioina in data 15 marzo 1401, BaronE1888, p. 17; ruBEo2015, p. 23. 13BroGi1900, p. 378, ruBEo2015, p. 36. 14SummontE1675, p. 540; DiPiEtro1869, pp. 121-122;B roGi1900, p. 380; ruBEo2015, p. 37. 15infatti il 20 settembre di quell’anno il titolo di Gran Giustiziere si era reso vacante per la morte del conte in carica (SummontE1675, ii, p. 621; BroGi1900, p. 380; ruBEo2015, pp. 36-37, p. 44 nt. 12). 16Sulla successione, CorSiGnani,p. 475; ammirato1580, p.193; r uBEo2015, p. 16, nt. 4. il nome iacovella, insieme alla sua apocope Covella o Cobella, è attestato in un’epistola del 1447 edita da Ermann1700, p. 64.ruBEo2015,p. 11, fa ipoteticamente risalire la nascita di Covella intorno al secondo decennio del ‘400; diversamente tolliS1967, p. 102, afferma che Covella nacque all’inizio del 1400. molte delle notizie qui riportate sono ricavate dal recente saggio diruBEo2015che ha ricostruito la vita di Covella, ultima contessa dei Celano, e le sue vicissitudini nell’ambito della storia quattrocentesca del grande feudo abruzzese e degli scenari di guerra della contesa tra angioini e aragonesi: donna di grande cultura, mecenatismo, coraggio e spirito religioso, riuscì a sottrarsi ad un matrimonio forzato e celebrato addirittura sotto gli auspici di un pontefice, a negoziare la conservazione dei propri privilegi feudali, a sposare finalmente un uomo di suo gusto e ad amministrare il proprio patrimonio; gli ultimi anni di vita furono però funestati dalla necessità di combattere contro il figlio ruggero per difendere i suoi possedimenti. 17la vendita fatta da Giovanna ii fu ratificata da martino V il 1° marzo 1419 (ValEntini1935, p. 18, nt. 4; ruBEo2015, p. 58). 18ColaPiEtra1978, p. 26. 19le altre due sorelle, Giovanna ed isabella, erano a quel tempo già sposate e quindi estranee alla successione. 20maZZElla1601, p. 747; ruBEo2015,p. 60, p. 87, nt. 45. 21SummontE1675, p. 403. 22BroGi1900, p. 266, p. 386. 23DiPiEtro1869, p. 120. leonello acclozamora è corrotto nelle forme acclocciamuro e simili

24CorSiGnani1738, p. 473 e p. 592. 25CorSiGnani1738, l.iii, pp. 476-477. 26Ms. Barb. lat., c. 250v: «Cobella […] fù moglie di lionello acclozamuro, e loro edificorno S(anc)to angelo di Celano, come appare per iscrittione in d(ett)a Chiesa». 27BroGi1900, p. 284. 28CorSiGnani1738, p. 477: «[…] le quali per ragione che furon godute dal detto lionello che risedeva (come si disse) in Celano, furono soggette alla Contea Celanese, benché in diverse parti sìtuate […] Castelvecchio di Subiego, Galascio, Cello, Colle, Balzerano, morrea […]». Cfr. anche tutini1666, p. 69; BaCCo1785, p. 181; BianChini1834, ii, pp. 51-52; BroGi1900, p. 390; ruBEo 2015, p. 61, p. 89, nt. 68. 29i documenti in cui appare diversamente appellato sono riportati da ruBEo2015, p. 61, p. 64, p. 93, nt. 88, p. 95, nt. 103. 30Si tratta di una bolla di Bonifacio iX del 6 giugno 1391, sucuiV EnDitti2009, p. 228; ruBEo2015, pp. 95- 96, nt. 103.31 ruBEo2015, p. 95, nt. 103. 32 SummontE1675, iii, p. 401;FEDElE1905 p. 180, nt. 5;r uBEo2015, p. 24, p. 34, nt. 47, p. 43.
33CElani1893, pp. 80-86; ValEntini1935, p. 21, nt. 2; ruBEo 2015, p. 58. 34ruBEo2015, p. 69. 35VinCEnti1604, p. 49; ruBEo2015, pp. 95-96, nt. 103. 36tutini1666, p. 64 e p. 69; BianChini1834, ii, pp. 51-52;B roGi1900, p. 390. 37in tale anno nicola ii di Celano infatti risulta essere tutore del nipote Berardo (ruBEo2015, p. 43 nt. 5), a quel tempo privo di personalità giuridica per la minore età. 38BroGi1900, p. 393. 39ammirato1580, p. 194;CorSiGnani1738, pp.479-481; DEr uBEiS1994, p. 2; ruBEo2015, pp. 162-164. 40allEGa1977, pp. 63-77; ruBEo2015, pp. 162-164. 41CorSiGnani1738, l. iii, p. 481: «Comitatus Coelani, cuius erat rogerottus haeres, quoniam ille indignum se fecit, ad antonium nepotem nostrum, ex voluntate regis, pervenit». CamEra 1889, p. 34, riporta che la contea comprendeva «[…] Baroniam Balsarani in qua sunt infrascripte terre ac castra, et loca videlicet Balsaranum, morreum, Castrum novum cum casalibus

42 Corsignani 1738 p 482 Di pietro 1869 p 125

43Catone Miranda e Virrozzi 2009 p 479 la nepote del papa hogi è el terzo dì se partete del campo cum circa XXX homini d’arme et CC fanti et è andato in apruzo a pigliare la possessione del contato de Cellano, excepto una forteza»). 44ruBEo2015, p. 177. 45CatonE, miranDaeVittoZZi2009, p. 489. 46DEtummulilliS1890, pp. 144-145. 47in una lettera di papa Paolo ii di quell’anno rogerone è definito signore di Balsorano (Dumont1726, p. 385: «rogeronem de Celano Domini Balcerani et cum terris, Vassallis, et subditis suis»). 48ruBEo2015, p.195, p. 202, nt. 3. 49il 12 febbraio 1471 fu erogato un mandato di 110 ducati a favore del «magnifico d. rogerono de Celano pro residuo eius provisionis, usque in presentem diem»(ZiPPEl1904, p. 223). 50BErarDi1988, p. 149. la morte viene collocata il 22 maggio 1496 da ammirato1580, p. 194, e da CamEra1889, p. 71; per SanuDo1879, coll. 548-549, era ancora vivo nel 1497, in quanto nei primi di settembre di quell’anno «Et per una lettera di Brexa che vidi, intisi come uno signor rugierone conte di Celano, venuto in un castello pur sul monferà, zà molti zorni, di Franza, havia dito il roy averli dicto:‘Va et aspectame in tal loco, che sarò infallanter per tutto septembrio’» (ruBEo2015, p. 205, nt. 28). 51Bullarium 2,c. 25r, riporta la richiesta dell’8 aprile 1574 di
unire il beneficio di S. martino alla chiesa della SS. trinità; gli altri atti sono del 20 ottobre 1578 (Ibidem, c. 42v) e del 3 novembre dello stesso anno (Ibidem,c. 43v). 52Visita pastorale 1593, cc. 123-124. 53Brogliardo 1599, cc. 8v e 9r: il chierico Giovanni de luca il 19 febbraio 1599 chiede, per l’esiguità delle sue entrate, di unire alla chiesa della SS. trinità i benefici rurali di S. Pietro, S. Felicita, S. Giovanni, per sostenere più decorosamente l’arciprete e i due canonici. 54nella Visita pastorale1609, c. 128r, la chiesa risulta intitolata alla trinità, a San Giorgio e a San martino; nella Visita pastorale1617-1618, cc. 5-6, si specifica che le due chiese in quell’anno erano ormai crollate («Ecclesia Sancti Georgii est diruta, est ibi posita Crux lignea, et est unita Ecclesiae Parrocchiali»; «Ecclesia Sancti martini est in platea prope portam terrae. Est diruta. adest Crux lignea in loco ubi erat ecclesia, nunc est platea»). la distruzione delle chiese doveva essere quindi avvenuta tra il 1599 e il 1610, se il 29 giugno 1599 viene conferito a ‘D. Crisostomus Corsus Clericus’ il canonicato della ‘ecclesia Sancti Georgii dette terre Balsorani’ (“Bullarium et regestum varium”, 3, 7 giugno 1528-25 luglio 1613, cc. 64r e 64v). la chiesa di San Giorgio è documentata anche nel secolo XiV, poiché tra il 1308 ed il 1310 corrispondeva la somma di un tarì e quattro grana (RatDecCamp, p. 16); i beni di tali chiese risultavano inventariati (Libro Verde, cc. 92r-95r).

55 Icabone 1997 p 135 e 138 il culmibe del culto fu nel 1334 con l’istituzione della festa liturgica, per disposizione di papa Giovanni XXii, nella prima domenica dopo Pentecoste1(iaCoBonE 1997, pp. 138-139). la devozione della SS. trinità è attestata anche dall’affresco, recentemente restaurato, presente nel capo altare della chiesa della madonna delle Grazie in loc. le Starze. 56Visita pastorale 1609, c. 129r: «Status ecclesiae hodiernus. Visitatio die 17 Septembris 1617. Eccl(esi)a parrocchialis est sub tit(ulo) S(anctissi)mae trinitatis et Sancti Georgii ac S(ancti) martini. Cura animarum est penes archipresbiteru(m). Sunt etiam duo Can(oni)ci […] habet campanile c(um) tribus ca(m)panis appensis cu(m) horologio. altera campana n(on) est appensa. Sacristia est facienda retro altare maius. Ecclesia t(rinitatis) non reaptatur. habet hospitalem extra terra(m) i(n) burgo cu(m) parva eccl(esi)a S(ancti) antonii in qua non celebratur Sacra olea conserva(n)tur in vase lapideo prope porta(m) eccl(esia)e i(n) manu sinistra prope campanile cu(m) sacrario.] Eccl(esi)a h(abe)t una(m) nave(m) t(ecta)m et duas portas. altare maius est ad occidente(m) in quo conservat(ur) S(anctissi)mu(m) Sacr(amen)tu(m) in tabernaculo ex ligno deaurato». nella successivaVisita pastorale1617-1618, cc. 2-3, viene menzionato anche l’arcipresbitero dell’epoca, tale Blasius Gipsius, coadiuvato dal canonico Chrisostomus Corsius. la parrocchia in un documento coevo risulta dotata di numerosi beni mobili e immobili (Libro Verde, cc. 92r – 93r). 57Visita pastorale 1663, c. 5r: «Ecc(lesi)a tota, ultrà presbyterium […], divid(itur) in quat(t)uor partes distinctas per tres magnos arcus». 58Visita pastorale 1663, c. 5r. 59Visita pastorale 1663, cc. 3r-4r. 60Visita pastorale 1663, c. 4r: «Proseq(uendo) visit(ation)em ab eodem latere sinistro reperit vacuum quoddam inter arcum et arcum cum subiecto altari, ubi antiquitus extitisse d(ictu)m fuit altare S(ancti) antonii abbatis, cuius ius spectabat olim ad hospitalem sub tit(ul)o S(ancti) antonii, et deinde hospitale ipsum cum hoc annexo unitum prebendae archip(resbite)ri sive cura animar(um)». 61Visita pastorale 1663, c. 5v: «Visitavit deinde introitum ecc(lesia)e noviter ex elaboratis lapidibus fabricat(u)m, in cuius vertice m(itti)t arcum et fornicem excavari, in qua depingatur imago tituli Ecc(lesia)e».
62Visita pastorale 1663, c. 5v. 63oltre l’altare maggiore, cinto da balaustra, a destra sorgevano gli altari del rosario, posto accanto al pulpito e al confessionale, di Sant’antonio da Padova e San lorenzo martire, di San michele arcangelo; a sinistra, gli altari dell’annunciazione, di Sant’antonio abate e del Suffragio (Visita pastorale 1703-1704, cc. 90-91). Successivamente, pur rimanendo inalterato il numero degli altari, avvenne qualche variazione di intitolazione: in Visita pastorale 1767, c. 26, si legge infatti che: «oltre l’altare di sopra detto vi son sei altari e tutti anno (sic!) le colonne di legno. nel lato sinistro vi è la cappella del SS.mo rosario […]. nell’istesso lato vi è la cappella di S. michele arcangelo […] in fine dell’istesso lato vi è la cappella della SS.ma Concezione […]. Dalla parte destra da capo vi è la cappella del Suffraggio (sic!), […] infine dall’istessa destra vi è la cappella di S(ant’)antonio abb(at)e». 64Visita pastorale 1703-1704, cc. 88-90: «la Chiesa è composta d’una sola nave, non vi è soffitto, né rialzo ma bensì il tetto coperto di canali pianellato con matoni (sic!) per di sopra coloriti et è sostenuto da quattro archi, à due de quali vi sono le chiavi di ferro. nella quale chiesa vi sono due porte una maggiore in mezzo e l’altra minore nell’ingresso di essa vi è il fonte battesimale con il suo Sacrario col balaustro d’avanti, et l’altro lato dentro detta Chiesa vi è il campanile con gradini e porta et in esso vi sono tre campane, una maggiore benedetta, et hà il nome di Santa Barbara, l’altra mediocre, et hà il nome di S. martino, l’altra più comune, et hà il nome di S. martino, queste due ultime furono benedette dal Vescovo Guzzoni, et anco vi è l’organo sopra la porta maggiore da due piccoli rialzi sostenuto da due pilastri, et in d(ett)o luogo vi sono due finestre. in detta Chiesa vi sono cinque finestre con la loro vetrina cioè una sopra il Coro, l’altre quattro per lunghezza di d(ett)a Chiesa vi è anco l’horologio dell’università. in d(ett)a Chiesa vi sono sette altari, nei quali si celebra uno dali quali. è l’altare maggiore sotto il titolo della Santis(si)ma trinità fatto di stucco, nel quale vi è il tabernacolo di legno indorato sopra del quale vi è la Croce, sotto di esso tabernacolo vi è uno scabello con due gradini da porvi li Candelieri e nel quadro di esso altare che è di tela vi è l’effigie della Santis(si)ma trinità sotto della quale al lato destro vi è l’immagine di S. Giorgio Protezione principale et al lato sinistro vi è S. martino Vescovo Pro

tezione meno Principale, et in mezzo vi è l’immagine di S. Carlo Borromeo […] avanti di esso altare maggiore vi è la predella di legno con due gradini di pietra, avanti di esso vi è il balaustro. al lato sinistro vi è la sedia maggiore con due scabelli per li assistenti». 65Visita pastorale 1767, cc. 24-35: la chiesa era « di lunghezza cento palmi incirca, di larghezza palmi trentotto, dal tetto palmi quarantaquattro […]». il palmo cui fa riferimento dovrebbe essere il napoletano, pari a cm 26,4. 66Visita pastorale 1767, c. 25: «il pavimento è coperto di mattoni, il soffitto parimenti è composto di mattoni pittati, à riserba dell’altare maggiore, ò sia Cappella del SS.mo, q(ue)sto di sopra è coperto con volta, e l’istesso altare formato di stucco». 67Visita pastorale 1769, c. 16:«haec eadem Eccl(esi)a Par(rocchia)lis unica navi sub nudo et nudi tecto ex lateribus depictis, valde vetustis, et notabilis attritii, tota succida, et indecorosa constructa reperita. Parietes eiusdem in cornu Epistolae altaris maioris in parte, et partibus maxima humiditate afficiuntur, ita ut in magnum Ecclesiae prae(dictae) dedecus redundat, quò circa hortamur in D(omi)no magnificos viros de regimine huius universitatis omnesque alios, ad quos spectat spectat, ut, vel Constructione novae Eccl(esia)e à fundamentis excitam in eodem vel in alio loco, vel ad expeditam reparationem et restaurationem eiusdem devenire curent. ne ulterius prae(dict)a Ecc(lesi)a in tàm infelici statu remaneat. ioseph Ep(iscop)us Sorae». 68Visita pastorale 1782, c. 2: «Postero autem die, cum in praefata t(er)ra ob defectum Ecc(lesia)e Par(rocchia)lis veteris a ter(a)e motibus, decem ab hinc annis notabiliter les(a)e, ac tecto destitutae, Santissimum Eucharistiae Sacramentum, olea sacra, ac cetera, quae in d(ect)a Parrocchiali Ecclesia sub tit(ulo) S(ancti)s(i)mae trinitatis, asservabant, ad praesens, ob caeterarum ecclesiarum defectum, in ecclesia modicae et indecentis molis ad radices dictae
terrae sub tit(ul)o Sanctae mariae de Cruce». non risultano però notizie di terremoti occorsi nel 1772. 69Visita pastorale 1798, c. 3; Visita pastorale 1804, c. 2; Visita pastorale 1823, c. 205 e c. 211. 70torDonE2005, pp. 99-100. 71in Visita pastorale 1933, c. 654, si afferma che «a Balsorano furono successivamente costruite tre chiese Parrocchiali, di cui ancora sussistono gli avanzi. una di esse, la più antica, chiamata la “Chiesa Vecchia”, era sotto il Castello e fu fabbricata da un lisi di Celano. nel castello di Balsorano si conserva una lapide, che un giorno apparteneva a questa chiesa attigua al Castello». la seconda chiesa dedicata alla trinità fu ricostruita a poche decine di metri in linea d’aria e più in basso rispetto alla precedente; la terza, invece, fu costruita nel nuovo centro di Balsorano in seguito alla distruzione operata dal sisma nel 1915 del vecchio borgo murato. 72l’area interessata ricade nella part. cat. 260 del foglio 16. 73Visita pastorale 1663, c. 1r: «[…] ob arduitatem praeruptae viae vehi noluit, sed pedes usque ad portam terrae processit, Clero praesenti et comitantibus saecularibus. Cum autem ad portam suprad(ict)am pervenisset […] ad ecc(lesi)am parrocchialem sub titulo SS(anctissi)mae trinitatis ac Sanctiss(imoru)m Georgii et martini […]». 74Visita pastorale 1663, c. 1v: «[…] ab ecc(lesi)a perrexit ad arcem sive Palatium ill(ustrissi)mi Vtilis loci D(omi)ni D. Ferdinandi Piccolomini, in quo fuit honorifice et perhumaniter exceptus […]». 75lettera del 29 aprile 1825 del parroco, don martino Siciliani, Atti per luoghi, n. 38, 2: «quanto fulse in addietro questo Cristiano abituro, sito lungo l’abitato, sul pendio d’uno scoglio, coll’adiacenza del sasso, che ne dilava il terreno contrapposto, ed isolato a tutti gli lati, è purtroppo ben noto». 76Visita pastorale 1874, c. 330.

77 si ritiene utile in quanto ricca di indicazioni topografiche e

descrittive per l’identificazione del sito della prima chiesa (qui evidenziate in corsivo), riportare integralmente la relazione circa lo stato della seconda chiesa nell’ultimo venticinquennio del secolo XiX, pubblicata da torDonE2005, pp. 99-100: «la pratica [relativa al crollo di un vecchio fabbricato di proprietà comunale occorsa il 2 dicembre 1877], tramite il Prefetto, venne inviata al Corpo reale del Genio Civile di avezzano, il quale il 20 dicembre dello stesso anno redasse la seguente relazione: ‘L’abitato di Balsorano è situato sul pendio di una collina sulla cima della quale trovasi un castello di antichissima costruzione. Sotto questo, nel versante nord esisteva una chiesuola di epoca di costruzione pare certo a quella del castello e sotto e attorno a questa vi erano delle casupole che dai ruderi ora non si sbaglia nel dire che pure le medesime furono costruite con la chiesuola. Pochi anni or sono a causa di un incendio si abbruciò il tetto della chiesa e così venne abbandonata, le sue mura rimasero in piedi ed una volta che trovavasi per le sepolture sotto la chiesa, furono esposte a tutte le intemperie atmosferiche senza alcuna difesa. in questi ultimi anni poi il proprietario del castello sovrastante, conte di Balsorano, saggiamente pensò restaurare e rimetterlo in buone condizioni, tanto per garantirlo contro i danni del tempo come per renderlo una bella e deliziosa abitazione. nell’eseguire questi lavori il materiale di rifiuto veniva gettato fuori del castello e così parte cadde tra i muri della fu distrutta chiesuola e sopra la volta sottostante. ora in causa di questi materiali di sopra carico alla volta e alla venustà [sic!] della medesima esposta poi da tanti anni a tutte le intemperie atmosferiche ed in special modo per le acque che dai tetti del castello cadendo penetravano sopra di essa, cedette e rovinò dando una spinta ai suoi muri che la soffermavano i quali, come già si disse, per l’antichità di costruzione, le pietre che la formavano non erano collegate da alcun cementoe quindi impotenti a sopportare il minimo, precipitavano trascinando con loro le due casupole ad essi appoggianti e tutto questo materiale cadde sopra la casa del signor Filippo tuzi, sprofondandone il tetto e il soffitto fino a piano terra. la parte superiore poi della collina, alla cima della quale è posto il castello, nel versante medesimo in cui è succeduto il su descritto disastro, è composta da grandi massi calcarei disagregati i quali in causa degli agenti atmosferici, in modo particolare dai geli e disgeli si sono smossi e continuano un lento movimento. ultimamente un grandissimo masso si è tutto staccato e minaccia la sottostante contrada Porta Palomba e il Vico delle Rocce. terribile sventura e danni gravi arrecherebbe la caduta di questo grande masso che rovinerebbe molte case sottoposte e certo trascinerebbe con sé
anche parte dei muri di cinta del castello. Per sicurezza pubblica è assolutamente necessario, prima che maggiormente la stagione invernale si inoltri, togliere questo brutto pericolo che minaccia la proprietà e la vita di vari poveri abitanti di Balsorano’». 78orazio torriani (1578-1666) fu agrimensore al servizio del Capitolo di San Pietro e architetto di chiara fama; sulle sue attività, PaSSiGli2012, p. 368, p. 373, p. 377, p. 379. 79è la veduta in grafite, inchiostro bruno e acquerello numerata con il n. 30 e intitolata Castle of Balzerrano, in Abruzzo, datata e siglataMay 1791. RCh, tratta dalla raccolta dal titolo Views Drawn from Nature in the Neighborhood of Rome and Abruzzo, 1786-1790 conservata presso lo Yale Center for British art, Paul mellon Collection (n. coll. B1977.14.2741); nella stessa collezione sono comprese altre due vedute di Balsorano realizzate con la stessa tecnica e raffiguranti solo il castello: la n. 29, intitolata Castle of Balzerrano, and Vale of Roveto, in Abruzzo. May 1791. RCh. (n. coll. B1977.14.2740), e la n. 31, View in Abruzzo, May. 1791. RCh(n. coll. B1977.14.2742). oltre a realizzare le vedute, redasse un diario odeporico (hoarE1819) e, alle pp. 337-338, descrive la sua permanenza il 6 maggio 1791 a Balsorano, dove trovò ospitalità da don Clemente tuzi, e il castello («the old baronial castle, situated on the most elevated part of a rocky hill, and overlooking the village, is fitted up and occupied by the Baronessa Piccolomini»), lodando con enfasi il paesaggio da cui trasse ispirazione per i suoi schizzi («the whole, comprising the castle, village, & c. forms a perfect picture, and furnished the best of the numerous sketches which i made in these distant and unfrequented provinces»). 80il quadro fu realizzato negli anni ’90 dal medico condotto di Balsorano, dr. Giovanni lucantonio (rocca di Cambio 1923avezzano 2003) dopo attente ricerche condotte con l’ausilio di un vecchio capomastro del luogo, raffaele Villa, che gli aveva rappresentato fedelmente la configurazione della cittadina prima del terremoto e le persistenze murarie antiche di cui aveva conservato memoria essendo nato intorno al 1900. il sig. Villa aveva coadiuvato anche gli insegnanti maria lina tordone, lola Benedetti, anna Contato, margherita Santarelli, Gaetano Settevendemmie e gli alunni della locale scuola media statale nell’a.s. 1986-1987 nella realizzazione del laboratorio didattico storico-topografico intitolato Balsorano Vecchio – Il paese, gli uomini, le attività. Tentativo di ricostruzione storica attraverso i resti, i documenti, le testimonianze e …la memoria; ho potuto visionare il fascicolo nell’archivio privato della famiglia lucantonio. 81l’area insiste nella part. cat. 260 del foglio 16.

82 la decrizione del secondo impianto della chiesa di cui restano i ruderi in piazza San martino è nellaVisita pastorale 1874, cc. 327330. in essa si legge che «Della Chiesa madre sotto il titolo della SS.ma trinità se ne sconoscono l’epoca precisa della fondazione; perché non evvi alcun documento all’uopo. ma dai libri Parrocchiali antichi si rileva esser la fondazione rimontante a circa tre secoli o quattro. la Chiesa medesima è lunga circa 72 metri e larga 65 metri […] è fabbricata quasi nel centro del Paese, la cui prospettiva è ad oriente, ed è fatta quasi a foggia di Croce Greca: lunga come si è detto metri 72 larga metri 65 circa alta ariosa con cupola coperta ed otto corrispondenti finestroni ben custoditi con primo e secondo telaio fatti a specchioni con corrispondenti cristalli, e questi otto finestroni guardano d’ogni intorno liberamente i quattro punti cardinali. Vi si entra in piano per mezzo d’una gran porta di legno di castagno verniciata di color verde dalla parte di levante con antiporta ossia bussola: nell’ingresso appena a mano dritta evvi il Battistero con vasca di pietra in cui si conserva l’acqua Benedetta pel Santo Battesimo. a mano manca si vede la scala che conduce al campanile ed all’orghesta (sic!). Vi si vedono eretti sei altari, compreso l’altare maggiore, in fondo diretto del Cappellone grande, in cui si conserva il SS.mo Sagramento. a dritta nell’entrare in Chiesa si veggono prima l’altare di Santantonio (sic!) abate, e poi in Cappella subalterna quello della madonna addolorata. a questa dirimpetto evvi quello dell’annunziata, poi quello di S. martino Vescovo, Cappellone grande, nel mezzo della Chiesa a manca dell’ingresso, ed infine quello di S. rocco dirimpetto a quello di Santantonio abate. nella Chiesa, che è decentemente ripulita, con coloretto bianco e celeste,nella volta spaziosa si veggono dipinti in altrettanti quadri in affresco i quattro Evangelisti, copie del Domenichino, ed altri fatti scritturali. il mattonato è nuovo, come nuova quasi è la totale fabbrica della medesima Chiesa, le cui fondamenta furono gettate da circa un secolo fa dopo il crollamento della Chiesa che s’innalzava sotto una collina contigua al Castello, detta Chiesa Vecchia […]». 83Sicuramente le rovine della chiesa furono radicalmente rase al suolo tra il 1957 e il 1958, i materiali vennero reimpiegati nella costruzione della nuova strada di comunicazione con la SS. n. 82 della valle del liri e nella sistemazione della piazza San martino, oggi posta ad una quota superiore rispetto al piano di calpestio della chiesa distrutta nel 1915. il cambiamento della viabilità è documentato dalla fotografia aerea scattata dalla RAFil 15 marzo 1944 (Fondo maPrW-BSr-raF, foglio 52, strisciata 71, positivo 3016). 84Atti per luoghi, n. 38, 2, lettera del 29 aprile 1825 del parroco d. martino Siciliani: «alla crucciante amarissima doglia di non potere portare a compimento il fabricato della nova Chiesa per deficienza dell’occorrente, vi si aggiugne la prossima ed inevitabile caduta del picciol oratorio, rimasto solo, ed unico, per la sacra Funzione». 85torDonE2005, pp. 34-35.torDonE2009, p. 23, riferisce, sulla base dei documenti conservati nell’archivio storico comunale di Balsorano e delle testimonianze orali, che il terreno su cui l’edificio sacro fondava fosse poco solido e soggetto a smottamenti e per questo motivo agli inizi del secolo XX era ancora incompiuto, pur se aperto al culto; difatti nel 1913 fu chiuso e le funzioni furono officiate nella chiesa conventuale di San Francesco. la ricostruzione della facciata è in torDonE2009, p. 25

86torDonE2005, p. 60, sulle delibere comunali del 25.X.1853 e del 12.ii.1854. 87Atti per luoghi, n. 38, 1, relazione del 26 maggio 1858. in Atti per luoghi, Balsorano, 38.2, sono raccolte le compravendite di terreni “per un sussidio alla fabbrica della nuova chiesa parrocchiale di Balsorano”. Sulle rimostranze mosse dalla popolazione locale in tale anno circa le condizioni in cui versava la chiesa e la vacanza del parroco, torDonE2005, pp. 70-71, p. 93. 88torDonE2005, pp. 116-118. 89Visita pastorale 1902, cc. 103-105. 90Visita pastorale 1933, cc. 653-655. a cc. 654-655 la trascrizione fedele dell’epigrafe commemorativa dettata da lisi da Celano. 91Visita pastorale 1933, c. 642: «non si dà alcuna disposizione sulla chiesa, essendo baraccale e destinata a scomparire»; cc. 669670: «la Chiesa attuale è una misera baracca edificata dal r. Genio
Civile nel 1917 in seguito al terremoto che il 13 gennaio 1915 aveva distrutto la Chiesa Parrocchiale già chiusa al culto per una frana […]. è una capanna inferiore a quella in cui nacque nostro Signore. nella grotta di Betlemme non pioveva, ma in questa baracca è piovuto e seguita a piovere sempre non ostante le varie continue riparazioni». 92 Visita pastorale 1942, fascicolo “Balsorano”.torDonE 2005, pp. 319-322. 93la costruzione in esame si trova a m 315 s.l.m. ed è orientata n (41° 48’ 05”)- E (13° 34’ 23”); insiste sulle particelle catastali n. 225, 844, 169 del foglio 16. 94tale pietrame potrebbe essere quello gettato nel 1877 durante interventi di restauro al castello e caduto sulle volte della chiesa (torDonE2005, pp. 99-100). 95torDonE2009, p.19, riconosce nel portale dell’edificio i resti di porta Palomba.

86 le fonti archistiche attestano le chiese di S Martino e Santa Felicita, di cui però non si conosce l’esatta ubicazione. 97in un passo della relazione del Genio Civile del 1877 (ripor
tata da torDonE2005, pp. 99-100) si legge che «per l’antichità di costruzione, le pietre che la formavano non erano collegate da alcun cemento».

98ChiariZia, latinieProPErZi2002, p. 63, fig. 71. 99una significativa raccolta delle fotografie storiche di Balsorano Vecchio prima e dopo il sisma del 1915 è visitabile nel sito http://www.prolocobalsoranovecchio.it/Pagine/Foto_storiche.html. 100Cfr. nota 83. 101Per il metodo documentario cui ricorse il dr. Giovanni lu
cantonio per ritrarre l’aspetto antico del borgo, v. sopra. Per una sintetica pubblicazione del repertorio dei dipinti, luCantonio 1997, pp. 23-30. 102il toponimo Sotto il fossoconferito alla stradina sottostante via San martino potrebbe alludere all’esistenza di un fossato scavato presso le mura di difesa.

103 la via prendeva il nome da una cappella dedicata al santo. per la sua collocazione extra moeniaera il primo edificio sacro che fosse visibile prima di entrare da sud a Balsorano provenendo da Sora (Visita pastorale 1663, c. 1r). 104le immagini, una divulgata dal sito della Pro loco sopra menzionato, l’altra proveniente dall’archivio privato di Stefano Viaggio – attualmente in possesso di alessandra tanzilli –, testimoniano l’esistenza della porta e di un portico lungo alcuni metri, di cui resta memoria nel toponimo I Seppórte(torDonE2009, p. 19). 105le porte sono citate da luCantonio1997, pp. 20-21. la torre colombaia, usata per l’allevamento e l’addestramento di co
lombi viaggiatori, trova confronti nella torre La Palombaradi alvito, già attestata nel XV secolo (riCCiarDi1992). 106Sicuramente mons. Piccardi nella sua visita pastorale compiuta nel 1663 arrivò a Balsorano da questa parte; per entrare nel borgo e arrivare subito alla chiesa della SS. trinità era preferibile prendere la Rua Chianiglieo via Pianello (un toponimo che allude a una strada su pendio in cui è forse riconoscibile la via praeruptadescritta nella visita pastorale del 1663), quindi entrare da porta San Giorgio e percorrere il tracciato odierno di via noce dei Santi.

107Sul lazio, touBErt1995, pp. 44-98; sul territorio aquilano,m arCotulli2011, p. 182. 108resta memoria locale degli orti Scacchi, Silvi, rossi, Pizziglie coltivati fino alla distruzione dell’abitato. 109Visita pastorale 1663, c. 5v: «Visitavit deinde introitum ecclesiae, noviter ex elaboratis lapidibus fabricatum». 110materiale: calcare; misure: altezza cm 42, larghezza cm 25, spessore non rilevabile. il reperto si trova a Balsorano Vecchio in via ii al Corso e nella proprietà a. Fantauzzi (particella catastale 209, foglio 16). 111Visita pastorale 1663, c. 14v: «introitus est ex lapidibus elaboratis et stipites etiam marmoreis […] ante ecc(lesi)a(m) ipsam adsunt elevati parietes ad altitud(in)em ipsius Ecc(lesi)ae, sed adhuc sine tecto cum introitu ex lapidibus elaboratis». la chiesa di San Donato è citata per l’anno 944 da ChrVultii, p. 106, per il 972 da ChrCass, l. ii, 7, p. 182, per il 1110 da una bolla di papa Pasquale ii (Squilla1971, pp. 133-135). la chiesa era stata eretta nei pressi della via antiqua che raggiungeva Casale di San Giovanni, oggi San Giovanni Vecchio, un antico tracciato segnalato
da tombe, vici, santuari e ville (GroSSi1991, p. 216 e nt. 47; GroSSi1992, p. 41) ed era ancora in piedi nel XVii secolo (Libro Verde, cc. 322r- 322v). 112Visita pastorale 1663, c. 13v: «introitum h(ab)et ex lapidibus elaboratis […]». la chiesa distava dal borgo murato 375 metri ed era situata oltre la porta di San Pietro (Visita pastorale 1663, c. 13v: «Sita est ecc(lesi)a S(anctae) Birgittae extra t(er)ram Balsorani ab ea distans per quartam partem milliaris ex ea parte, quam respicit porta S(ancti) Petri»). Della chiesa oggi restano solo i muri d’ambito. 113materiale: calcare; misure: larghezza cm 47, altezza cm 25, spessore cm 15, altezza rilievo cm 0,4. 114il sito insiste nella particella catastale n. 236; le misure del frammento non sono rilevabili. il muro di cinta fu costruito per disposizione dei proprietari Ettore Zannelli e Giovanni Fiastri dal 1929 (lauri1929, p. 23), ma lavori di restauro erano stati già condotti tra gli anni 1920-1929 (CaSaFuErtE1994, pp. 320, 323, 332). il frammento potrebbe provenire da un monastero intitolato a San Francesco che sorgeva nelle immediate vicinanze, distrutto e poi ricostruito altrove(DiroCCoetorDonE1996, pp. 19-21).

115 materiale calcare misure 29 cm per cm 34, spessore non rilevabile. 116il cenobio, in castro Vallis Soranae(Squilla1966, p. 223, nt. 2, che cita un documento dell’archivio Segreto Vaticano, coll. 161, Soranarum Ecclesiarum Catalogus, r. C. 28, p. 158) appare già menzionato in un documento del 972, quando l’abate di montecassino, aligerno, concede con un contratto a livello al conte dei marsi rainaldo il monastero di Santa maria in luco con tutti i suoi possedimenti e le sue pertinenze, tra cui le chiese «[…] sancti Stephani et sancti nicolai et sancti Donati in valle Sorana […]» (ChrCassii, 7, p. 182). il nome del monastero di S. Nicolaus de Valle Soranaera scolpito nel quattordicesimo pannello della porta bronzea di montecassino, fatta realizzare dall’abate Desiderio nel 1066: dunque, in quel periodo il monastero è di nuovo pertinenza dell’abbazia(Gattola1734, i, p. 173). Per circa vent’anni fu di nuovo concessa ai Conti dei marsi che poi ne fecero dono all’abbazia cassinese; difatti nel 1089 Gentile – figlio del conte Baldovino – con suo nipote trasmondo e la matrigna di quest’ultimo, altruda, dona ad oderisio, abate di montecassino, il monastero di Santa maria in luco con le chiese e i monasteri da essa dipendenti (lECCiSotti1965, p. 87, n. 6; ChrCass iV, 6, p. 471: «tunc temporis Gentilis filius Balduini comitis unacum transmundo nepote suo obtulerunt beato Benedicto monasterium sancte marie in luco cum omnibus suis mobilibus et immobilibus et ecclesiam sancti nycolai in valle Sorana»). Si trattò, in effetti, di una donazione tra consanguinei, essendo l’abate oderisio esponente della famiglia dei Conti dei marsi e zio paterno di Gentile, conte di Balsorano (riZZEllo 1998, p. 114; antonElli1986, pp. 313-319), ratificato con un atto stipulato alla presenza di roffrido, vescovo di Sora ed evergete del portale della chiesa cattedrale sorana, e di tre sacerdoti(Gattola 1733, i, p. 248: «anno dominicae incarnationis millesimo octuagesimo nono, indictione duodecima, die Kal. majarum, nos quidem Gentilis filius q(uonda)m Baldoini Comes, et transmundus quidem Comitis nepotes, atque altruda suprascripti transmundi noverca clarefacimus, quod divina inspirante clementia, bona, et spontanea mea voluntate pro mercede animarum nostrarum in redemptione omnium peccatorum nostrorum, et parentum nostrorum loco Valle Sorana q(uae) cum aliis castris, villis et vi(n)c(u)lis Deo auxiliante nostri iuris est, obtulimus in S. Benedicto Cassinensis monasterio, ubi nunc domino oderisius abbas Christi opitulante clementia regimen tenere videtur, S. mariae monasterium, quod est in loco, qui
dicitur lucu cum omnibus suis mobilibus, et immobilibus rebus, et eorum pertinentiis cum omnibus hominibus sibi pertinentiis, et S. nicolai ecclesiam, qu(a)e est vicina praefato castro Vallesorana. Similiter cum omnibus suis pertinentiis mobilibus, et immobilibus ante praesentiam Ben. algisi civitatis Sorane iudicis per investituram factam a nobis in minibus Dodonis, et dom(i)ni Georgii eiusdem Cassinen(sis) monasterii venerabilium monachorum, atque Johannis levitae, et primicerio ecclesiae S. Germani praesente dom(i)no roffrido ecclesiae Soranae episcopo, cum tribus clericis suis, scilicet maiobove, et Petro Vicalvense, atque Johanne muto presbyteris […]»). la ricchezza del monastero è tra l’altro testimoniata dal versamento nel 1273 di quattro ducati d’oro e, tra il 13081310, di 6 tarì e di 15 grana (RatDecCamp, p. 16: «Prepositus S. nicolai de Valle Sorana tar. Vi»; RatDecCamp, p. 21: «Ecclesia S. nicolai gr. XV »). Grazie ad un documento del 1336 (antonElli 1986, p. 316) si può anche adombrare un rapporto vassallatico esistente fra il monastero e gli abitanti del luogo, che erano tenuti a prestare alcuni censi e servizi annuali. il legame tra il monastero e l’abbazia continuerà fino al secolo XV, quando la chiesa di San nicola fu affidata al clero secolare (antonElli1986, p. 313-319) e quindi concessa in beneficio nel secolo XVii (Visita pastorale 1663, c. 21r: «la chiesa di S. nicola con benefitio senza cura posseduto dal sig. D(omi)n(us) Francesco Bonaventura Parracciani rende ducati 21»). agli inizi del secolo successivo la chiesa «era già diruta» (Visita pastorale 1703-1704, c. 96). tali eventi potrebbero dimostrare che l’utilizzazione del territorio da parte di signori laici ebbe inizio solo quando la presenza della grande abbazia benedettina divenne meno forte e pervicace. 117Secondo antonElli1986, p. 314, nt. 14, nella località Casalino San nicola «al di sotto di due casette rurali si notano tratti di antichi muri, che facevano parte della chiesa, mentre altri se ne vedono a fior di terra poco distante sotto un querceto, che dovevano riguardare l’habitat monastico. nei pressi esiste una sorgente d’acqua chiamata Fontana S. nicola». iBiDEm, p. 317, l’immagine con didascalia Balsorano – Casalino S. Nicola, dove sorgeva l’omonima prepositura benedettina. 118l’abbazia volturnense aveva ricevuto l’inclita Vallis Sorana dal duca di Spoleto ildebrando tra il 774 e il 778 (ChrVulti, pp. 238-239); nel 944 possedeva il monastero di San Donato (ChrVult ii, p. 106: «monasterium Sancti Donati, cum inclita valle Sorana: et haec omnia cum omnibus sibi iure pertinentibus rebus sub tutela

Sedis apostolicae permaneant»), di Santo Stefano nel 755 e nel 981 (ChrVulti, p. 165; ChrVultii, p. 265). Gli ultimi possedimenti di San Vincenzo al Volturno nella valle risalgono alla prima metà del secolo successivo (ChrVultiii, p. 13; ChrVult iii, p. 24). 119GrimalDi2015, pp. 127-129, fig. 16 di p. 126. 120Sulla superficie, inquadrata dal largo e piatto bordo dei listelli, si dipana il motivo decorativo di un tralcio a foglie multi
formi che fuoriesce dalle fauci di un lupo. Sul pezzo recentemente si è espresso anGElElli2015, pp. 156-157. 121anGElElli2015, p. 155, con bibliografia precedente. 122Sul portale della Cattedrale sorana, GrimalDi 2015, pp. 125-134, figg. 13-19; sull’acquisizione di Santa maria di luco da parte di Desiderio nel novembre del 1070, ChrCassiii, 17, p. 383.

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Visita pastorale 1767= ASDSora, archivio Diocesi di Soraaquino-Pontecorvo, Serie D, sottoserie Vi, Visite pastorali, vol. 36. acta S. Visitationis realis, localis et Personalis peractae ab ill(ustrissi)mo et rev(e rendissi)mo D(omi)no D. thomas taglialatela Episcopo Sorae anno Domini 1767 in terra Balsorani et Casali S. Joannis et Casali S. Vincentii atque Casali morrea, C. antinae, Civitellae, Pescocanalis, Canistri, metae, morini, Castrinovi, rendinarae, roccavivorum. 21 maggio 1767- 4 giugno 1767 Visita pastorale 1769= ASDSora, archivio Diocesi di Soraaquino-Pontecorvo, Serie D, sottoserie Vi, Visite pastorali, vol. 39. Prima visita pastorale alle chiese e al clero della Valle di roveto. 4 settembre 1769- 25 settembre 1769 Visita pastorale 1782= ASDSora, archivio Diocesi di Soraaquino-Pontecorvo, Serie D, sottoserie Vi, Visite pastorali, vol. 47. Seconda visita pastorale alle parrocchie e altri luoghi pii della Valle di roveto sotto la sua giurisdizione. atti e decreti. 10 ottobre 1782-8 ottobre 1783 Visita pastorale 1798= ASDSora, archivio Diocesi di Soraaquino-Pontecorvo, Serie D, sottoserie Vi, Visite pastorali, vol. 51, “Prima Sancta Visitatio Vallis roveti peracta ab illustrissimo, et reverendissimo Domino D. augustino Colajanni Episcopo Sorano de anno 1798 continens tredicim oppida”. 14 giugno 1798-18 luglio 1798 Visita pastorale 1804= ASDSora, archivio Diocesi di Soraaquino-Pontecorvo, Serie D, sottoserie Vi, Visite pastorali, vol. 55. Seconda visita pastorale alle parrocchie della Valle di roveto. 15 maggio 1804-20 settembre 1804 Visita pastorale 1823= ASDSora, archivio Diocesi di Sora-aquinoPontecorvo, Serie D, sottoserie Vi, Visite pastorali, vol. 58. Prima visita pastorale alle parrocchie e altri luoghi pii di alvito, Castelliri, Fontechiari, isola del liri, Pescosolido, Pontecorvo, S. Donato V. C. e nelle parrocchie della Valle di roveto sotto la giurisdizione della Diocesi di Sora-aquino-Pontecorvo. relazioni e decreti. 27 febbraio 1820-11 maggio 1823 Visita pastorale 1874= ASDSora, archivio Diocesi di Soraaquino-Pontecorvo, Serie D, sottoserie Vi, Visite pastorali, vol. 64. risposte dei parroci, amministratori di luoghi pii, economi curati, ai quesiti contenuti nelle istruzioni per la Sacra Visita del 1874 nelle città di arpino, isola del liri, Fontana liri, Castelliri, Balsorano, morrea, Civita d’antino, Castronovo, rendinara, morino, Civitella roveto, roccavivi, Canistro, Capistrello, S. Vincenzo V. r., S. Giovanni V. r., 25 novembre 1873-10 agosto 1876 Visita pastorale 1902= ASDSora, archivio Diocesi di Soraaquino-Pontecorvo, Serie D, sottoserie Vi, Visite pastorali, vol. 75. relazione della prima visita pastorale alle parrocchie, monasteri e altri luoghi pii di alvito, arpino, Balsorano, Broccostella, Campoli appennino, Capistrello, Casalattico, Castronovo, Civita d’antino, Civitella roveto, Fontana liri, Fontechiari, Gallinaro, isola del liri, morino, morrea, Posta Fibreno, Pescosolido, Picinisco, Pietrafitta, rendinara, roccavivi, S. Donato V. C., S. Vincenzo V. r., S. Giovanni V. r.,

Visita pastorale 1933= ASDSora, archivio Diocesi di Sora-aquinoPontecorvo, Serie D, sottoserie Vi, Visite pastorali, vol. 82. risposte dei parroci di Sora, alvito, Castello di alvito, arpino, Balsorano al questionario per la prima visita pastorale. 1933-1936 Visita pastorale 1942= ASDSora, archivio Diocesi di Soraaquino-Pontecorvo, Serie D, sottoserie Vi, Visite pastorali, vol. 88. relazioni dei parroci di alvito, arpino, Balsorano, Canistro, Casalattico, Casalvieri, Civita d’antino, Fontana liri, meta, Pescosolido, Picinisco, rendinara, Sora per la seconda visita pastorale. 1948-1949 ZiPPEl1904 = G. ZiPPEl(a cura di), Le vite di Paolo II di Gaspare da Verona e Michele Canensi, in Raccolta degli Storici Italiani dal Cinquecento al Millecinquecento, t. iii, Città di Castell ChrCass = Chronica Monasterii Casinensis, in Monumenta Germaniae historica, Scriptores, a cura di h. hoFFmann, t. XXXiV, hannoverae 1980, pp. 393-409 ChiariZia1997 = G. ChiariZia, Castelli d’Abruzzo. 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